Con l’espressione sindromi mieloproliferative si intende un gruppo, le principali sono quattro, di malattie del sangue di tipo neoplastico.
Tutte queste malattie hanno una caratteristica comune: originano da cellule staminali malate.
Le cellule staminali sono cellule che si trovano normalmente nel Midollo osseo e che generano tutte le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e Piastrine); in caso di malattia queste funzionano in modo anomalo causando una produzione e crescita incontrollate di globuli rossi, globuli bianchi e Piastrine.
Incidenza della malattia
La policitemia vera è una neoplasia mieloproliferativa cronica con emopoiesi clonale. La policitemia vera si caratterizza per un incremento prevalente a carico della serie eritroide con conseguente aumento dei globuli rossi e dell’emoglobina nel sangue, condizione detta eritrocitosi. L’incidenza della policitemia vera nella popolazione generale è stimata tra 0.7 e 2.6 casi/100.000 abitanti per anno, con età mediana alla diagnosi di 60 anni e predilezione del sesso maschile.
Genesi della malattia
Nel 2005 è stato stabilito il ruolo patogenetico della mutazione puntiforme V617F del gene JAK2 (esone 14). Il gene JAK2 codifica per una tirosinakinasi (Janus Kinase 2), coinvolta nella via di trasduzione intracellulare del segnale JAK-STAT, e ne determina una configurazione costitutivamente attivata che si traduce in un aumento della proliferazione cellulare. Questa mutazione è presente in oltre il 96% dei pazienti con policitemia vera; nei rimanenti casi sono presenti mutazioni dell’esone 12 del gene JAK2.
La clinica
La diagnosi può essere posta sulla base di alterazioni dell’esame emocromocitometrico in pazienti asintomatici, ma più spesso i pazienti presentano segni e sintomi legati all’ eritrocitosi, tra cui disturbi microvascolari (cefalea, vertigini, ronzii auricolari, disturbi visivi, parestesie ed eritromelalgia, dolore urente alle mani e ai piedi accompagnato da arrossamento e calore) e il prurito cutaneo acquagenico. La diagnosi può essere posta in seguito ad un evento vascolare (trombosi o emorragie). Segni di frequente riscontro sono il colorito rosso accesso (eritrosi) del volto, ingrandimento del fegato e della milza. A livello laboratoristico l’eritrocitosi può essere accompagnata da leucocitosi e piastrinosi e altre alterazioni degli esami ematochimici (incremento di LDH, iperuricemia, ipoferritinemia). Le principali complicanze durante il decorso della malattia sono trombosi arteriose (infarto miocardico, ictus cerebri, TIA) o venose (trombosi venosa profonda, embolia polmonare, trombosi splancniche), o emorragie. La malattia può raramente trasformarsi in leucemia acuta e in mielofibrosi secondaria.
La diagnosi
La diagnosi si basa sull’integrazione di parametri clinici, morfologici, e molecolari (Classificazione WHO 2016): 1) emoglobina >16.5 g/dl (ematocrito >49%) negli uomini; emoglobina >16 g/dl (ematocrito >48%) nelle donne; 2) mutazioni gene JAK2 (V617F o esone 12; 3) iperplasia cellulare trilineare a livello della biopsia osteomidollare. In assenza dei criteri 1, 2, 3 l’eritropoietina serica deve essere ridotta.
Cenni di terapia
L’obiettivo della terapia è ridurre il rischio di complicanze vascolari e controllare i sintomi della patologia mantenendo l’ematocrito inferiore al 45%. Il rischio vascolare è definito in base alla presenza di uno dei due fattori predittivi: età superiore a 60 anni e precedente evento trombotico. I pazienti che presentano almeno uno di questi fattori (alto rischio) hanno indicazione a iniziare una terapia citoriduttiva (usualmente idrossiurea). Nei pazienti a basso rischio è indicata l’esecuzione di salassi periodici. Qualora i salassi non siano ben tollerati o non siano sufficienti a mantenere il target ottimale di ematocrito, o vi sia splenomegalia, leucocitosi, trombocitosi progressiva, vi è indicazione a iniziare una citoriduzione farmacologica. Tutti i pazienti dovrebbero essere posti in profilassi primaria con basse dosi di acido acetilsalicilico, se non controindicato. Il controllo dei fattori di rischio vascolare (fumo, dislipidemia, diabete, ipertensione arteriosa) è inoltre sempre un obiettivo di primaria importanza.
Incidenza della malattia
La mastocitosi è una malattia caratterizzata dalla proliferazione di mastociti che si accumulano a livello della cute e/o di organi interni. L’incidenza della malattia è di 1 caso ogni 10.000 persone.
Genesi della malattia
I mastociti sono cellule appartenenti al sistema immunitario, originano dalle cellule staminali del midollo osseo e, dopo essersi differenziati in cellule mature, risiedono in quasi tutti i tessuti dell’organismo, negli spazi intorno ai vasi sanguigni. Partecipano alle risposte infiammatorie e immunitarie, rilasciando sostanze chimiche. Nella mastocitosi queste stesse sostanze chimiche (istamina) possono essere responsabili dei disturbi e delle complicanze della malattia. La patogenesi della mastocitosi sistemica è legata a mutazioni del gene c-kit (D816V).
La clinica
Si distinguono principalmente due tipi di mastocitosi: la forma cutanea e quella sistemica. La mastocitosi cutanea è dovuta all’accumulo di mastociti nella cute e non interessa altri organi. La forma cutanea più diffusa è l’orticaria pigmentosa (macchioline spesso brunastre, diffuse per lo più al tronco e agli arti e spesso pruriginose), mentre in età pediatrica si riscontrano la mastocitosi cutanea diffusa e il mastocitoma cutaneo. La mastocitosi cutanea è una forma benigna nell’adulto e transitoria nel bambino. Nella mastocitosi sistemica (MS), i mastociti patologici si localizzano a livello del midollo osseo e/o di altri organi (stomaco, intestino, fegato e milza) con o senza interessamento della cute. Tra le MS si distinguono forme con andamento clinico molto diverso: MS indolente, MS indolente, MS aggressiva, MS con associata neoplasia ematologica, leucemia mastocitaria, sarcoma mastcellulare. I disturbi della mastocitosi possono essere dovuti a: 1) rilascio da parte del mastocita di sostanze chimiche: cefalea, ipotensione, flushing o arrossamento/vampate cutanee, prurito, dolore addominale, nausea, vomito, alterazioni dell’alvo, osteoporosi. Particolare attenzione merita il rischio di anafilassi grave. Tutti i suddetti disturbi, compresa l’anafilassi grave, possono manifestarsi in tutte le forme di mastocitosi. L’anafilassi costituisce l’unica potenziale manifestazione grave della mastocitosi cutanea e della mastocitosi indolente. Il rilascio delle suddette sostanze chimiche può essere scatenato da diversi tipi di stimolo (stimoli fisici come freddo o caldo, stress emotivo, infezioni, farmaci, punture d’insetti) con conseguente possibile insorgenza dei disturbi sopra descritti. 2) infiltrazione dei mastociti in un determinato organo. In questo caso i disturbi variano in funzione dell’organo coinvolto e dell’entità dell’infiltrazione d’organo stesso da parte dei mastociti patologici.
La diagnosi
La biopsia della cute è fondamentale per diagnosticare la forma cutanea. Quando si sospetta una forma sistemica, vanno eseguiti la biopsia osteomidollare e l’aspirato midollare oltre al dosaggio della triptasi sierica. Per la stadiazione sono utili: ecografia dell’addome, densitometria ossea, radiografia dello scheletro per evidenziali eventuali alterazioni ossee.
Cenni di terapia
La terapia della mastocitosi indolente è spesso sintomatica (antistaminici, corticosteroidi e disodio cromoglicato). Per la mastocitosi aggressiva il trattamento è sintomatico (antistaminici anti H1 e anti H2) e antiproliferativo (interferone alfa con o senza corticosteroidi, cladribina). In considerazione del rischio di anafilassi è consigliabile che il paziente abbia sempre con sé l’adrenalina autoiniettabile. Si consiglia di evitare l’acido acetilsalicilico, se mai assunto, e preferire l’utilizzo di antiinfiammatori già provati in precedenza. E’ consigliata profilassi con corticosteroide + antistaminici (anti H1 e anti H2) al paziente che si sottopone a mezzo di contrasto per indagini radiologiche o ad anestesia generale.
Incidenza della malattia
La mielofibrosi primaria (MFP) è una neoplasia mieloproliferativa Philadelphia-negativa. L’incidenza annua è stimata fra 0.5 e 1.3 per 100.000 persone con un’età mediana di insorgenza nella sesta decade di vita. La MF può rappresentare l’evoluzione della policitemia vera (post PV-MF) o della trombocitemia essenziale (post ET-MF) in circa 10-15% dei casi.
Genesi della malattia
Si caratterizza per una proliferazione anomala megacariocitaria e mieloide, con fibrosi midollare di grado variabile e conseguente emopoiesi inefficace ed emopoiesi extramidollare. Sono state individuate 3 mutazioni driver: la mutazione JAK2V617F (50-60% dei casi), le mutazioni del gene MPL (5-10% dei casi) e le mutazioni a carico del gene CALR (20-30% dei casi). Il rimanente 10-15% dei casi senza evidenza di queste mutazioni è chiamato triplo negativo. Indipendentemente dalla mutazione driver sottostante, il meccanismo patogenetico è rappresentato da una disregolazione del pathway JAK-STAT con conseguente alterazione del signalling intracellulare e proliferazione cellulare incontrollata e attivazione della cascata di citochine pro-infiammatorie
La clinica
I sintomi della MF possono essere classificati in tre categorie principali: mieloproliferativi, citopenici e costituzionali. Il primo gruppo comprende la splenomegalia, spesso marcata, più tipica delle fasi avanzate di malattia e la leucocitosi. Citopenie di varia severità sono presenti nella mielofibrosi, quali l’anemia (emopoiesi inefficace, sequestro splenico, emolisi ed eventuali perdite emorragiche dal tratto gastrointestinale), la piastrinopenia con aumentato rischio emorragico, e più raramente la leucopenia con un aumentato rischio infettivo. Lo striscio di sangue periferico documenta un quadro leuco-eritroblastico con elementi immaturi, anisopoichilocitosi eritrocitaria con cellule “a lacrima”, o dacriociti. La malattia spesso si associa a uno stato ipercatabolico con sintomi costituzionali, anche severi, quali la perdita di peso, febbre, sudorazioni notturne oltre a astenia (‘fatigue’), e cachessia, dolori ossei, e muscolari e dolori addominali.
La diagnosi
La diagnosi si basa su criteri della Classsificazione WHO 2016. Si distinguono due entità: una forma di mielofibrosi “conclamata” e una forma prefibrotica (prePMF). Per diagnosticare la mielofibrosi è necessario sottoporre il paziente a un’accurata visita (presenza di splenomegalia), indagare i sintomi costituzionali, effettuare emocromo con striscio di sangue periferico, eseguire biopsia osteomidollare, analisi genetiche e molecolari. Il modello prognostico International Prognostic Scoring System (IPSS) consente di definire la sopravvivenza dei pazienti partendo da 5 parametri facilmente accessibili al medico: età sopra i 65 anni, emoglobina inferiore a 10 g/dl, leucocitosi superiore a 25.000/mm3, blasti circolanti ≥ 1% e presenza di sintomi costituzionali. La presenza di 0, 1, 2 e > 3 fattori avversi definisce rispettivamente un rischio basso, intermedio-1, intermedio-2 o alto. E’ stato sviluppato anche un modello prognostico dinamico (DIPSS) per valutare l’andamento dei pazienti osservati durante il decorso della malattia che prende in considerazione le stesse variabili dell’IPSS, conferendo un peso maggiore alla comparsa di anemia.
Cenni di terapia
Parte dei pazienti con MF alla diagnosi è asintomatico e a basso rischio e pertanto non viene sottoposto ad alcun trattamento standard. Il trattamento dell’anemia può prevedere l’utilizzo di corticosteroidi, e danazolo. Nei pazienti con rischio avanzato e con splenomegalia o sintomi si può utilizzare ruxolitinib, JAK inibitore. Nei pazienti giovani e senza comorbidità si tiene anche in considerazioni l’ipotesi trapiantologica allogenica.
Incidenza della malattia
La Trombocitemia Essenziale (TE) è una Neoplasia Mieloproliferativa cronica (NMP) Philadelphia negative (Ph neg), gruppo di disordini ematologici che originano dalla trasformazione neoplastica di una cellula staminale pluripotente e caratterizzati dalla proliferazione clonale di uno o più progenitori emopoietici nel midollo osseo. La TE è caratterizzata principalmente da proliferazione della serie piastrinopoietica. In Europa l’incidenza della trombocitemia essenziale (TE) è pari a 0.38-1.7/100.000 persone/anno; la prevalenza è pari a 8.6/100.000 abitanti. L’età media di insorgenza è compresa tra i 64 e i 73 anni.
Genesi della malattia
La TE è un disordine clonale della cellula staminale emopoietica associata a mutazioni a carico di diversi geni. Il 50-60% dei pazienti presenta la mutazione di JAK2 (V617F), il 15-32% mutazioni del gene CALR, il 3-5% mutazioni del gene MPL e i rimanenti (10-16%) sono detti tripli negativi.
La clinica
In oltre la metà dei casi, la TE è diagnosticata occasionalmente in seguito a controlli routinari con riscontro di trombocitosi assoluta e confermata con piastrine >450×109/L, in altri casi in seguito a sintomatologia tipica. La sintomatologia della TE è prevalentemente correlata alla comparsa di eventi vascolari (trombotici arteriosi/venosi, emorragici); più raramente a disturbi del microcircolo (cefalea, vertigini, ronzii auricolari, parestesie alle estremità degli arti, disturbi visivi e/o eritromelalgia – senso di bruciore alle mani e/o ai piedi con arrossamento e calore-; raramente sintomi sistemici come perdita di peso, sudorazione notturna, febbre, prurito (soprattutto scatenato dal contatto con l’acqua) e artralgie. Nel 20-30% dei pazienti si riscontra splenomegalia. La TE è una malattia cronica ad andamento indolente con un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella della popolazione generale; rara è l’evoluzione in mielofibrosi o in leucemia acuta.
La diagnosi
La diagnosi si basa sull’integrazione di parametri clinici, morfologici, e molecolari (Classificazione WHO 2016): 1) conta piastrinica > 450 x109/L; 2) iperplasia megacariocitaria alla biopsia osteomidollare; 3) esclusione delle diagnosi di policitemia vera, mielofibrosi, leucemia mieloide cronica, sindrome mielodisplastica o altre neoplasie mieloidi; 4) presenza di mutazioni dei geni JAK2, CALR, MPL o di altri marcatori di clonalità o assenza di evidenza di trombocitosi reattiva.
Cenni di terapia
La terapia va assegnata in base al rischio vascolare del singolo paziente: età del paziente e la presenza di pregressi eventi vascolari. Il paziente ad alto rischio vascolare (età > 60 anni e/o con precedente evento vascolare in anamnesi) è candidato a terapia citoriduttiva in associazione a terapia antiaggregante piastrinica. Il farmaco standard è l’idrossiurea, più raramente si impiega interferone o anagrelide. Il paziente a basso rischio vascolare (età < 60 anni e senza precedente evento vascolare in anamnesi) è candidato alla sola osservazione clinica con basse dosi di terapia antiaggregante se le piastrine non eccedono il milione/mmc.
Per entrambe le classi di rischio vascolare è necessario informare il paziente sulla necessità di attenersi ad uno stile di vita atto a ridurre il rischio vascolare (monitoraggio dei fattori di rischio cardiovascolare: pressione arteriosa, diabete, profilo lipidico, fumo, peso).
Incidenza della malattia
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) rientra tra le Malattie Mieloproliferative Croniche secondo la classificazione WHO 2016. Rappresenta circa il 15% di tutti i casi di leucemia e il tasso di incidenza è stimato intorno a 1-2 casi su 100.000 persone/’anno. Dal momento che le nuove terapie hanno consentito un notevole prolungamento della sopravvivenza dei pazienti affetti da LMC, si ritiene che la prevalenza della malattia aumenterà in modo consistente nei prossimi anni.
Genesi della malattia
È una malattia neoplastica che colpisce le cellule staminali del midollo emopoietico da cui derivano i globuli bianchi (leucociti), le piastrine e i globuli rossi. La base della malattia consiste in un evento genetico (traslocazione reciproca tra un cromosoma 9 ed un cromosoma 22) che porta alla formazione del cromosoma Philadelphia (Ph), patognomonico della malattia. Questa traslocazione, la t(9;22)(q34;q11), determina a livello molecolare la formazione di un gene di fusione ibrido BCR-ABL. Questo gene ibrido codifica per un’oncoproteina ad attività tirosino-chinasica che è all’origine del meccanismo di trasformazione leucemica.
La clinica
Nella storia naturale della LMC si distinguono tre fasi successive:
1) fase cronica, durante la quale i leucociti vengono prodotti in eccesso per cui è caratterizzata da aumento dei leucociti nel sangue periferico associato a volte ad anemia e/o piastrinopenia oppure piastrinosi e spesso a splenomegalia;
2) fase accelerata di transizione;
3) fase blastica caratterizzata da un quadro ematologico simile a quello di una leucemia acuta con prevalenza di cellule blastiche.
Queste ultime due fasi rappresentano l’evoluzione naturale della LMC, che sono oggi raramente osservate grazie all’efficacia dei farmaci utilizzati.
La diagnosi
La LMC può essere sospettata in presenza di iperleucocitosi neutrofila con cellule mieloidi immature circolanti, anemia, piastrinopenia o piastrinosi, splenomegalia, sintomi sistemici. La malattia viene generalmente diagnosticata in fase cronica, spesso in occasione di esami di routine quando il paziente è asintomatico. Molto raramente alla diagnosi il paziente si presenta in fase accelerata o blastica. L’età mediana di insorgenza è tra 60 e 65 anni, ma vi sono casi ad esordio in età giovanile o in età avanzata.
La diagnosi si basa sulla dimostrazione del cromosoma Philadelphia (Ph) all’analisi citogenetica convenzionale su sangue midollare o all’analisi citogenetica FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) sul sangue periferico/ midollare oppure sulla dimostrazione del trascritto RNA derivante da riarrangiamento BCR-ABL in metodica molecolare RQ-PCR su sangue periferico/ midollare. Definita la diagnosi, deve essere definita la “categoria di rischio” in base a score prognostici specifici.
Cenni di terapia
Dato che l’attività tirosino-chinasi della proteina BCR-ABL è un momento essenziale nella patogenesi della LMC, sono state sviluppat molecole in grado di inibire specificamente l’attività chinasica di ABL, i tirosino chinasi inibitori: imatinib, nilotinib, dasatinib, bosutinib, e ponatinib. I prime tre farmaci sono autorizzati per la prima linea di terapia, gli altri per le successive.
La scelta del farmaco tiene in considerazione le caratteristiche biologiche della malattia, l’età e le comorbidità del paziente, le tossicità specifiche dei farmaci. Una componente fondamentale del trattamento è rappresentata dal monitoraggio che deve essere condotto secondo le indicazioni internazionali utilizzando metodiche di laboratorio standardizzate.