Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA)
relativo a Sindromi Mielodisplastiche (MDS)
Il presente PDTA è promosso dalla Commissione di lavoro delle Sindromi Mielodisplastiche (MDS) della Rete Ematologica Lombarda (REL) ed è stato approvato dal Comitato Esecutivo REL (novembre 2016)
1. Gruppo di lavoro
Il presenta PDTA è stato redatto da:
- Dr.ssa Marta Riva, specialista ematologo (ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda)
- Dr. Alfredo Molteni, specialista ematologo (ASST Cremona)
Hanno collaborato alla redazione:
- Dr.ssa Rosa Greco, specialista ematologo (ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda)
- Dr.ssa Federica Gigli , specialista ematologo (Istituto Oncologico Europeo)
- Laura Orlando, infermiera professionale (Istituto Oncologico Europeo)
Il documento è stato verificato dalla commissione REL Sindrome Mielodisplastiche (presidente Prof. Matteo G. Della Porta, specialista ematologo – IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano – Milano)
2. Razionale e obiettivi
Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo di patologie caratterizzate da una riduzione dei valori del sangue periferico che coinvolge una o più serie ematopoietiche, espressione del malfunzionamento dell’attività ematopoietica. [1] L’eterogeneità degli aspetti clinico-biologici rende questo gruppo di patologie particolarmente complesso, con difficoltà sia nell’inquadramento diagnostico (displasia clonale verso non clonale), che nell’approccio terapeutico. In generale, il grado di complessità assistenziale dei pazienti affetti da MDS è definito da tre elementi: a) condizioni cliniche del paziente [età, comorbidità], b) severità della citopenia [indicatore dell’insufficienza midollare], c) rischio di evoluzione leucemica
CRITICITA’ RILEVANTI -La contiguità con numerose condizioni di citopenia di natura non ematologica, particolarmente nelle fasce di età più avanzata, può rappresentare un fattore confondente nel processo diagnostico. Una volta posta una corretta diagnosi, un aspetto critico è la continuità assistenziale nella presa in carico del paziente tra specialista e medicina del territorio. Inoltre, la presenza di anemia in più dell’80% dei casi, pone il problema della trasfusione-dipendenza di questi pazienti, soprattutto nelle zone e nei periodi dell’anno di maggiore carenza di emoderivati. La gestione delle complicanze infettive ed emorragiche, spesso aggravate dal trattamento citoriduttivo, richiedono ricoveri prolungati con elevati costi per il sistema sanitario.
RAZIONALE – Il “Piano diagnostico e terapeutico” (PDTA) qui riportato è finalizzato alla condivisione in rete dei percorsi diagnostici e terapeutici nei pazienti affetti da sindrome mielodisplastica (MDS) che afferiscono ai centri aderenti alla Rete Ematologica Lombarda (REL). Il PDTA ha l’obiettivo di creare un “network” collaborativo tra i diversi centri ematologici della Regione, con lo scopo di favorire la registrazione sistematica nell’archivio di patologia regionale di tutti i nuovi casi diagnosticati sul territorio regionale, di implementare la standardizzazione delle metodiche diagnostiche e di condividere l’esperienza clinica e terapeutica sviluppando un linguaggio comune che funga da denominatore condiviso nelle diverse realtà del territorio. In questo senso, il coinvolgimento della medicina di base sia nella fase pre-diagnostica che nel monitoraggio durante il trattamento è la base su cui costruire un rapporto tra medicina del territorio e realtà specialistica. L’evoluzione naturale di questo percorso sarà rappresentato dallo sviluppo di un piano per l’attivazione di una assistenza domiciliare che supporti il medico e lo specialista nella presa in carico globale del paziente fragile che non può ricorrere all’assistenza ambulatoriale o di Day-Hospital presso una struttura ospedaliera.
3. Riferimenti
Il PTDA si basa principalmente sulle Linee Guida dell’European Leukemia Network (ELN) pubblicate nel 2013 [1] Al termine del documento sarà riportata una bibliografia
4. Ambito di applicazione
La procedura è rivolta a tutti i pazienti con sospetto/diagnosi di MDS per i quali si voglia confermare in modo appropriato il sospetto diagnostico. Fornisce l’indicazione per un uso appropriato delle opzioni terapeutiche disponibili. Descrive le corrette procedure assistenziali da implementare per la gestione dei pazienti.
5. Logigramma del PDTA
In ogni sezione specifica, qualora ritenuto opportuno è presente un logigramma specifico che riassume e schematizza i passaggi principali della sezione della procedura in oggetto:
- 6.3.3. Logigramma Diagnostico
- Flow-chart diagnostica per le MDS
- 6.4.4. Logigramma Prognostico
- Flow-chart delle indagini necessarie a ottenere una adeguata stratificazione prognostica dei pazienti affetti da MDS
- 6.5.1.1. Logigramma Terapeutico rischio basso e intermedio-1 secondo IPSS
- Flow-chart dell’approccio terapeutico nella forme a rischio basso secondo IPSS
- Flow-chart dell’approccio terapeutico nella forme a rischio intermedio-1 secondo IPSS
- 6.5.2.1. Logigramma Terapeutico rischio intermedio-2 e alto secondo IPSS
- Flow-chart dell’approccio terapeutico nella forme a rischio intermedio-2 e alto secondo IPSS
6. Le fasi e gli aspetti organizzativi del percorso
Per la corretta gestione della patologia in oggetto è prevista un coordinamento formale tra i centri ematologici afferenti alla REL che hanno risorse e potenzialità specifiche che devono essere integrate in un processo che ha al centro il paziente in modo da creare flussi dinamici a seconda delle necessità individuali nelle varie fasi del percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale.
Il percorso del paziente con MDS riconosce una fase diagnostica (durante la quale viene formulata una diagnosi conclusiva di MDS e impostato un piano terapeutico in base alle caratteristiche della malattia e dello stato di salute generale del paziente) e una fase gestionale-terapeutica (durante la quale vengono implementate procedure di trattamento e di assistenza funzionali alle necessità cliniche del paziente, nonché procedure di monitoraggio nel tempo dell’andamento della malattia)
Fase diagnostica: deve essere eseguita nei centri ematologici che garantiscano al paziente l’esecuzione di TUTTE le indagini ritenute NECESSARIE dal seguente PDTA per una corretta valutazione diagnostica e un’adeguata stratificazione prognostica, al fine di impostare il programma terapeutico più adeguato.
Fase gestionale e terapeutica: il centro che gestisce il trattamento e il follow-up viene individuato secondo criteri che devono privilegiare a) la disponibilità delle risorse necessarie al compimento del percorso terapeutico adeguato per il paziente, b) l’accessibilità del paziente in termini di vicinanza territoriale, nonché c) la preferenza del paziente.
6.1. Accesso del paziente e valutazione iniziale
L’accesso del paziente a valutazione ematologica specialistica avviene in seguito al riscontro di citopenia del sangue periferico (anemia, leucopenia, piastrinopenia) all’esame emocromocitometrico. Il sospetto clinico di sindrome mielodisplastica viene posto una volta eseguiti una serie ti accertamenti di primo livello che escludano le principali cause di citopenia secondaria (indicati in una sezione specifica del seguente PDTA)
L’inquadramento di un paziente con sospetto clinico di MDS deve essere eseguito in un centro ematologico che sia dotato di specifici requisiti (ovvero presenza di figura professionale –specialista ematologo- con adeguata esperienza nella valutazione citologica delle cellule ematopoietiche e dei segni morfologici di displasia emopoietica, presenza di un servizio di anatomia patologica con adeguata esperienza nella diagnostica delle neoplasie ematologiche e presenza di un servizio di citogenetica), e nel quale preferenzialmente venga formalmente eseguita una discussione multidisciplinare dei dati clinici e di laboratorio a supporto di un processo di diagnosi integrata. Tali requisiti sono soddisfatti da tutte le SC Ematologia presenti sul territorio regionale e dai centri ematologici (accreditati dopo un processo di verifica dei requisiti tramite apposito questionario) riportati nella nota regionale di pubblicazione del presente PDTA
A partire dal luglio 2011 è attivo l’Archivio di patologia REL per la raccolta di dati clinico-patologici di pazienti affetti da Sindromi Mielodisplastiche primitive, Neoplasie Mieloidi “Therapy-related” e Neoplasie Mielodisplastiche/Mieloproliferative.
Tutte le nuove diagnosi devono essere riportate obbligatoriamente nell’archivio di patologia REL, attraverso la compilazione di schede specifiche disponibili online. Sono abilitati alla compilazione del registro i centri che hanno ottenuto l’approvazione da parte del comitato etico locale dell’apposito protocollo clinico (osservazionale-prospettico). Il protocollo prevede possano essere inseriti nell’archivio di patologia i pazienti che abbiano dato consenso scritto dopo aver letto l’apposito foglio informativo (il referente per il processo di trasmissione ai centri della documentazione per la presentazione del protocollo clinico al comitato etico è il dr Alfredo Molteni, ASST Cremona; mail alfredo.molteni@ASST-cremona.it). Sul sito della REL verrà visualizzato un elenco dei centri che hanno richiesto ed ottenuto l’approvazione per l’inserimento dei pazienti nell’archivio di patologia.
L’archivio è composto da campi di raccolta dati obbligatori (dati demografici del paziente, esame emocitometrico alla diagnosi, categoria WHO, esito esame citogenetico) e campi a compilazione facoltativa in schede dettagliate che riguardano la diagnosi, la presenza di comorbidità, la terapia, e l’outcome. Nell’archivio viene anche registrata l’informazione di eventuale disponibilità di materiale biologico conservato secondo le indicazioni riportate nel documento di indirizzo della Rete Ematologica Lombarda “bioREL” (scaricabile dal sito istituzionale della rete)
Il paziente con diagnosi conclusiva di MDS deve essere inquadrato in un percorso terapeutico-assistenziale personalizzato che tenga conto delle caratteristiche di aggressività della malattia e delle condizioni generali (stato di salute) del singolo paziente. Data la complessità di tali patologie, è opportuno che la valutazione delle opzioni terapeutiche nel singolo paziente (soprattutto se le opzioni di trattamento coinvolgono farmaci modificanti la storia naturale di malattia) venga effettuata nell’ambito di un centro REL con adeguata esperienza nel trattamento delle MDS, ovvero tutte le SC Ematologia presenti sul territorio regionale e i centri ematologici accreditati (in accordo alla procedura descritta nel paragrafo precedente).
Come accennato nel precedente paragrafo, il Centro che gestisce il trattamento e il follow-up specialistico viene individuato tenendo conto di diversi fattori, ovvero la disponibilità di tutte le risorse necessarie al compimento del percorso terapeutico previsto, criteri di accessibilità territoriale e preferenza (scelta) del paziente.
La Rete Ematologica Lombarda si fa carico del coordinamento formale dell’attività dei centri ematologici che operano sul territorio regionale al fine di ottemperare ai principi sopra elencati, e tramite il lavoro delle commissioni di patologia garantisce la continuità assistenziale e terapeutica a livello individuale nelle varie fasi della storia naturale della malattia.
Tutti i pazienti eleggibili a procedure trapiantologiche (per la definizione di eleggibilità si vedano le specifiche indicazioni riportate nel presente PDTA), vanno riferiti per valutazione specialistica e gestione del percorso clinico-assistenziale a un Centro Trapianti Accreditato.
Per quanto riguarda il supporto trasfusionale, qualora necessario, il paziente deve essere indirizzato ad un Centro Trasfusionale privilegiando criteri anche geografici, favorendo percorsi di coordinazione e confronto costante con il Centro Ematologico che ha in carico il paziente, qualora i due centri non coincidessero sia come struttura ospedaliera sia come struttura complessa.
Il coinvolgimento della medicina di base sia nella fase pre-diagnostica che nel monitoraggio durante il trattamento è la base su cui costruire un rapporto tra medicina del territorio e realtà specialistica per i pazienti con MDS. L’evoluzione naturale di questo percorso sarà rappresentato dallo sviluppo di un piano per l’attivazione di una assistenza domiciliare che supporti il medico e lo specialista nella presa in carico globale del paziente fragile con MDS e che non può accedere all’assistenza ambulatoriale o di Day-Hospital all’interno di strutture ospedaliere.
6.2. Informazione del paziente
Al termine delle procedure diagnostiche e della raccolta di tutte le variabili prognostiche il paziente deve essere correttamene informato della diagnosi della malattia e delle aspettative prognostiche attese.
Il paziente deve essere edotto delle opzioni terapeutiche che si ritengono più opportune a seconda del tipo di malattia e delle condizioni cliniche generali, con illustrazione del profilo di rischio/beneficio, e descrizione delle fasi del processo terapeutico tale a garantire al paziente un adeguato quadro.
Ogni terapia sarà preceduta da raccolta di consenso informato scritto del paziente secondo procedure aziendali specifiche.
6.3. PIANO DIAGNOSTICO – Valutazione Diagnostica
6.3.1. Definizione
Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo eterogeneo di disordini clonali del midollo osseo emopoietico caratterizzate da ematopoiesi inefficace, citopenie periferiche e, talora, espansione della quota blastica midollare (comunque inferiore al 20% della cellularità midollare totale), con progressiva tendenza a evolvere in leucemia acuta mieloide (LAM). [1,2] Sono malattie rare nel giovane adulto e nell’anziano con un’incidenza annuale, nei paesi industrializzati, di circa 3.5 casi ogni 100.000 abitanti. L’eterogeneità degli aspetti clinico-biologici rende questo gruppo di patologie particolarmente complesso, con difficoltà sia nell’inquadramento diagnostico (displasia clonale verso non clonale), che nell’approccio terapeutico (terapia di supporto vs terapia con fattori di crescita vs terapia epigenetica). Il grado di complessità assistenziale dei pazienti affetti da MDS è definito da tre elementi: a) condizioni cliniche del paziente [comorbidità], b) severità della citopenia [indicatore dell’insufficienza midollare], c) rischio di evoluzione leucemica.
6.3.2. Diagnosi
6.3.2.1. I criteri diagnostici minimi
I criteri diagnostici sono basati sulla classificazione WHO 2008 e successiva revisione pubblicata nel 2016 [3-5]:
Prerequisiti:
- Almeno una citopenia persistente (della durata di almeno 6 mesi).
- Esclusione di una qualsiasi altra causa di citopenia.
Criteri decisivi:
- Presenza di segni di displasia in almeno il 10% delle cellule in una o più linee cellulari
- Presenza di almeno il 15% di sideroblasti ad anello (o >5% con presenza di mutazione del gene SF3B1) .
- Presenza di blasti midollari dal 5 al 19% della cellularità midollare
- Riscontro di anomalie citogenetiche presuntive di diagnosi di MDS (Tabella 1), in concomitanza di un quadro di citopenia persistente, anche in assenza dei criteri minimi morfologici. Da notare che NON sono incluse tra queste alcune frequenti anomalie cromosomiche come la delezione Y (che può essere semplicemente legata all’età avanzata), del(20q) e +8 (rilevabili anche nell’anemia aplastica).
Per porre diagnosi di MDS devono essere presenti entrambi i prerequisiti e almeno uno dei criteri decisivi
Tabella 1: Anomalie citogenetiche che sono considerate presuntive di diagnosi di MDS
Valutazione iniziale
6.3.2.2. Esame Obiettivo
L’esame obiettivo nel paziente mielodisplastico all’esordio è spesso negativo. I segni clinici, se presenti, sono legati alle citopenie (segni dell’anemia, diatesi emorragica, diatesi infettiva). Raramente si ha splenomegalia (20%) ed epatomegalia (15%), ipertrofia gengivale, lesioni infiltrative della cute e/o versamento pleurico, pericardico o peritoneale e lesioni cutanee, soprattutto nei casi con monocitosi o con caratteristiche mieloproliferative e nelle forme avanzate. [4]
6.3.2.3. Emometria
Il sospetto di sindrome mielodisplastica si deve avere nel caso di riscontro di citopenia persistente. La forma più frequente di citopenia è l’anemia. Il sospetto di emopatia primitiva è maggiore quando l’emocromo evidenzia l’associazione tra anemia e altre citopenie.
ANEMIA
Sono consigliati dalla WHO approfondimenti diagnostici per concentrazione di Hb inferiore a:
Per anemia severa si intende: Hb<9 g/dL in ♂ o Hb<8 g/dL in ♀ [33] o che richieda regolare supporto trasfusionale.
Il riscontro dell’anemia può avvenire in seguito alla comparsa dei sintomi tipici (astenia, tachicardia, dispnea da sforzo), oppure essere assolutamente casuale, in seguito ad un esame emocromocitometrico eseguito per screening o per altre ragioni.
La prevalenza di anemia nella popolazione generale è proporzionale all’età (sempre più frequente in soggetti con più di 50 anni, fino a diventare maggiore del 20% in soggetti con oltre 85 anni).[5] Tuttavia l’incidenza dell’anemia nei pazienti anziani ospedalizzati è correlata a MDS o LAM nel 5.5% dei casi,[6,7] per questo è fondamentale essere accurati nella diagnosi differenziale (malattie croniche, carenza marziale, emorragia, malattie epatiche, renali o endocrine, altri disordini ematologici, idiopatica).
Nelle MDS l’anemia è significativa se Hb < 10 g/dl come indicato dalla classificazione WHO.
L’anemia è il segno più comune di insorgenza di MDS. Si riscontra nel 85-90% dei casi,[8] si associa in circa il 50-60% dei casi a neutropenia e/o piastrinopenia, mentre è isolata nel 35% dei casi.[9] Il volume globulare può essere aumentato o normale. In alcuni casi la macrocitosi isolata può essere il segno di esordio di MDS. Solo in rari casi in cui coesistono altre condizioni patologiche, come emoglobinopatie (tipico il caso di “trait” talassemico) o carenza marziale o di vitamina B6, l’anemia può essere microcitica.
NEUTROPENIA
La neutropenia si valuta in base al valore assoluto dei neutrofili e si divide in lieve (1500-1000/mm3), moderata (1000-500/mm3) e grave (<500/mm3). Si considera aumentato il rischio di infezioni batteriche con un numero di neutrofili inferiore a 1000/mm3. [3,10, 11] La diagnosi di MDS può derivare da un riscontro occasionale di una neutropenia isolata che persiste anche da diverso tempo, spesso con tendenza ad un progressivo peggioramento. All’esordio circa 2/3 dei pazienti sono neutropenici, anche se nella maggior parte dei casi la neutropenia si associa ad altre citopenie e in particolare all’anemia.
PIASTRINOPENIA
È definita come riduzione delle piastrine ad un valore inferiore a 150.000/mm3. La piastrinopenia viene considerata grave, con significativo incremento del rischio emorragico, qualora il conteggio piastrinico sia inferiore a 20 – 25.000/mm3.
Al momento non vi sono chiari dati sull’incidenza della piastrinopenia alla diagnosi di MDS: le varie casistiche mostrano un’incidenza media del 65%, con ampia variabilità di oscillazione tra il 23% e il 93%. Una piastrinopenia isolata è tuttavia infrequente e si presenta all’esordio solo in circa il 7% dei casi, mentre nell’82% dei casi è associata all’anemia. [12]
Il segno clinico più comuni di grave piastrinopenia è la diatesi emorragica cutanea o mucosa. Nelle MDS può raramente insorgere una piastrinopatia acquisita (es. “delta storage pool disease”) caratterizzata da diatesi emorragica pur in presenza valori piastrinici elevati. [13;14]
6.3.2.4. Diagnosi Differenziale
La diagnosi di MDS può essere presa in considerazione quando, di fronte ad una citopenia, vengono escluse le altre possibili cause. Il sospetto di un’emopatia primitiva è maggiore quando l’emocromo evidenzia l’associazione tra anemia e altre citopenie.
Per escludere altre cause di citopenia devono essere eseguiti i seguenti accertamenti ematochimici [1]:
- Emocromo con formula comprensivo di volume corpuscolare medio.
- Conteggio dei reticolociti: nelle MDS sono tipicamente ridotti per l’insufficienza midollare. Questo dato permette di escludere l’ipotesi di anemia emolitica in cui i reticolociti sono tipicamente aumentati.
- LDH, Bilirubina totale e frazionata, aptoglobina, Test di Coombs diretto: vanno eseguiti per escludere una causa emolitica dell’anemia. Bisogna tuttavia tenere presente che spesso l’emopoiesi inefficace associata alle MDS può comportare un movimento degli indici di emolisi (con test di Coombs negativo). Inoltre l’LDH può essere alterato indipendentemente da una eventuale componente emolitica.
- Dosaggio vitamina B12, B6 e folati. La carenza di B12 o/e di acido folico dà origine ad anemia macrocitica. In caso di riscontro di livelli bassi di una di queste due vitamine deve essere eseguita terapia sostitutiva. Per quanto riguarda la vitamina B12 si raccomanda terapia sostitutiva per via parenterale (intramuscolo), in quanto spesso la causa è un difetto di assorbimento intestinale. La risposta alla terapia esclude l’ipotesi di anemia da MDS.
- Valutazione dello stato marziale: sideremia, transferrina, ferritina, saturazione della transferrina. Permette di escludere stati di carenza marziale, e di valutare la diagnosi differenziale con l’“anemia delle malattie croniche” o “anemia dell’infiammazione” come più correttamente oggi viene definita, caratterizza dal sequestro reticolo-endoteliale del ferro.
- Dosaggio di urea e creatinina: per escludere la presenza di anemia secondaria a insufficienza renale.
- Dosaggio degli indici di funzionalità epatica: per escludere l’anemia associata a epatopatia cronica, spesso di difficile inquadramento a causa della patogenesi multifattoriale (ridotta sopravvivenza eritrocitaria in circolo, stillicidio cronico dal tratto gastrointestinale, carenza di folati) e tipicamente macrocitica nei pazienti etilisti.
- Indici infiammatori quale la PCR
- Elettroforesi sieroproteica, albumina
- Dosaggio di TSH: per escludere citopenie associate a ipotiroidismo, (es anemia generalmente normocitica e di tipo ipoproliferativo).
- Ricerca in citometria a flusso della presenza di cloni che presentino le alterazioni di membrana tipiche dell’emoglobinuria parossitica notturna, nei casi dove possano esserci segni/sintomi suggestivi (emoglobinuria, emolisi, storia di trombosi, sideropenia, etc.).
- Elettroforesi dell’emoglobina o ricerca e dosaggio delle emoglobine anomale: nei casi di anemia microcitica, dopo correzione di eventuale sideropenia,
- Ricerca di infezioni virali che possono comportare alterazioni ematologiche: HIV, CMV, Anticorpi Anti-Parvovirus B 19 e sierologia per epatite B e C, soprattutto nei pazienti trasfusi.
Valutazione specialistica
Se non si riscontrano alterazioni indicative di citopenia secondaria si deve procedere a:
6.3.2.5. Esame morfologico sangue periferico (NECESSARIO)
Il sospetto di MDS può essere sostenuto dal riscontro di alterazioni morfologiche suggestive di displasia, quali:
- Eritrociti atipici: anisocitosi, poichilocitosi, punteggiatura basofila. Nel 10% dei casi possono comparire eritroblasti.
- Leucociti neutrofili atipici: granulociti con nucleo ipolobato (pseudo Pelger-Huët); con citoplasma ipo/degranulato. Presenza di Blasti
- Piastrine di grosse dimensioni (piastrine giganti) e anisocitosi piastrinica.
- Presenza di blasti (il conteggio di questi elementi, se presenti, è fondamentale per l’attribuzione alla corretta categoria diagnostica)
Per una corretta valutazione è necessario osservare almeno 200 cellule a livello del sangue periferico. [15]
6.3.2.6. Esame midollare (NECESSARIO)
In caso di sospetto di MDS deve essere eseguito l’esame del midollo comprensivo di esame citologico con colorazione del Perls per la ricerca di sideroblasti ad anello, citogenetica, biopsia per esame istologico. Opzionali sono l’indagine immunofenotipica e la FISH (fluorescencein situhybridization).
Il prelievo midollare deve quindi comprendere i seguenti accertamenti:
Esame citologico con colorazione May Grumwald – Giemsa e PERLS (NECESSARIO)
L’esame Citologico è fondamentale perché permette di valutare:
- con la colorazione di May Grunwald Giemsa la presenza di segni di displasia che devono essere presenti inequivocabilmente in almeno il 10% delle cellule in una o più linee cellulari La presenza di blasti midollari dal 5 al 19% della cellularità midollare
- con la colorazione citochimica del Perls per il ferro: la presenza dei sideroblasti ad anello.
Perché venga correttamente valutato deve essere eseguita l’osservazione di almeno 500 cellule nucleate, che includano almeno 100 eritroblasti, 100 elementi della serie granulocitaria e 30 megacariociti. [3]
I segni di displasia distinti per linea ematopoietica sono i seguenti:
- Serie megacariocitaria: elementi di piccole dimensioni (simili a quelle delle cellule mieloidi circostanti) con singolo nucleo centrale o nucleo bilobato e scarso citoplasma granuloso, che sono definiti con il termine di micromegacariociti. Possono essere presenti anche elementi di dimensioni maggiori con nucleo singolo, ovoide, eccentrico o con numerosi piccoli nuclei rotondi separati.
- Serie eritroblastica: megaloblastosi (incremento quantitativo della quota citoplasmatica), binuclearità o polinuclearità, gemmazioni o lobulazioni nucleari, ponti internucleari, carioressi, picnosi nucleare, inclusioni citoplasmatiche come corpi di Howell-Jolly e punteggiatura basofila, sfrangiature del citoplasma, incompleta emoglobinizzazione, vacuolizzazione del citoplasma, asincronismo maturativo nucleo/citoplasmatico. Patognomonica di displasia è la presenza di sideroblasti ad anello.
- Serie mieloide: anisocitosi, presenza di nuclei ipolobati (pseudo-Pelger-Huët) o ipersegmentati, forme nucleari bizzarre, ipogranulazione o degranulazione, asincronia maturativa nucleo/citoplasmatica, presenza di granuli pseudo Chediak-Higashi, corpi di Auer.
I criteri morfologici minimi prevedono che almeno il 10% di ogni linea cellulare deve possedere segni inequivocabili di displasia. [3]
La conta della quota blastica rispetto alla cellularità midollare totale ha una importanza fondamentale a scopo classificativo e prognostico. Può essere di difficile attuazione per la difficoltà di distinzione tra i blasti e promielociti, soprattutto in caso di granulazione dei primi e di degranulazione dei secondi. Le caratteristiche dei mieloblasti sono state definite sulla base di caratteristiche nucleari e citoplasmatiche, che includono: alto rapporto nucleo/citoplasma, nucleoli facilmente visibili, cromatina nucleare fine, basofilia citoplasmatica variabile. I blasti possono essere granulati o agranulati. Una caratteristica differenziativa rispetto ai promielociti (che possono essere atipici, senza presentare la caratteristica granulazione primaria), è l’assenza dell’area chiara paranucleare interpretabile come espressione dell’apparato del Golgi
La colorazione citochimica del Perls per il ferro permette di evidenziare la presenza di sideroblasti ad anello. Si tratta di eritroblasti con un minimo di 5 granuli siderotici a disposizione perinucleare (circondanti almeno 1/3 della circonferenza nucleare). La presenza di tali elementi è sufficiente per porre diagnosi di displasia eritroide. Per definire un quadro di MDS con Sideroblasti ad Anello (MDS-RS) i sideroblasti ad anello devono costituire almeno il 15% (o almeno il 5% se la mutazione di SF3B1 è presente) dei precursori eritroidi. [3;16]
Biopsia OsteoMidollare (NECESSARIO)
Si tratta di un esame che dovrebbe essere eseguito contestualmente all’aspirato midollare in tutti i pazienti candidati a un’indagine midollare per citopenia del sangue periferico, ove non siano presenti controindicazioni cliniche all’esame.
Infatti, la biopsia osteomidollare fornisce informazioni utili e spesso complementari rispetto all’esame citologico. In particolare:
— DIAGNOSI DIFFERENZIALE L’esame istologico può permettere di appurare/escludere cause di citopenia diverse dalle MDS (aplasia midollare, disordini linfoproliferativi etc.)
— ALTERAZIONE ARCHITETTURALI E DELLA MATURAZIONE DELLE TRE LINEE MIDOLLARI, DISTRIBUZIONE E PERCENTUALE INDICATIVA DELLA QUOTA BLASTICA [17].
— CELLULARITA’: può fornire informazioni più precise rispetto all’esame citologico sulla quantità percentuale della porzione cellulata rispetto alla porzione adiposa. La valutazione di questo parametro consente di definire il sottogruppo delle MDS ipoplastiche.
— FIBROSI MIDOLLARE: è l’unico esame in grado di valutare il contenuto di fibre reticoliniche il cui accumulo focale o diffuso determina il grado di fibrosi midollare. La presenza di un grado di fibrosi ≥ 2 consente di definire il sottogruppo delle MDS con fibrosi [17].
Citogenetica (NECESSARIO)
Perché sia adeguata devono essere analizzate almeno 20 metafasi e le alterazioni devono essere descritte secondo la nomenclatura ISCN[19]
E’ fondamentale non solo perché il reperto di un’alterazione tipica (tabella 1) può permettere la diagnosi di MDS nei casi in cui l’analisi citologica risulta dubbia (soprattutto nelle forme senza eccesso di blasti e senza sideroblasti ad anello), ma soprattutto per il peso prognostico che le alterazioni citogenetiche possiedono, in senso sia favorevole, sia sfavorevole.[20] Le alterazioni della citogenetica sono frequenti e si riscontrano nel 50-60% delle MDS primitive, e nell’80-90% delle forme secondarie. Le alterazioni singole più frequenti sono: del(5q); -7; del(7q); +8; del(20q).
FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) (CONSENTITO perche’ potenzialmente utile)
E’ una tecnica di citogenetica molecolare che abbina un’analisi del DNA con quella della struttura cromosomica e permette di localizzare la presenza o l’assenza di una specifica sequenza di DNA nella cellula quiescente.
Non è ritenuto un esame indispensabile nella diagnosi delle MDS, tuttavia in casi di citogenetica standard normale, questa tecnica è in grado di rilevare anomalie cromosomiche criptiche nel 10-15% dei pazienti [21]Sebbene gli score prognostici si basino sulla citogenetica convenzionale, alcuni studi hanno dimostrato che le anomalie cromosomiche rilevate da FISH possono fornire informazioni prognostiche e possono essere utili a supportare il processo decisionale clinico in casi selezionati. [22]
Si consiglia di utilizzarla:
- nei pazienti con citogenetica normale le sonde per i cromosomi più comunemente coinvolti nelle MDS (cromosoma [cr] 5, cr 7, cr 8, cr 20) per approfondimento della diagnosi.
- nei pazienti con nota alterazione dei cr 5, cr 7, cr 8, cr 20 o altra alterazione specifica per monitoraggio post terapia.
Un esempio di pannello di sonde locus-specifiche per le mielodisplasie è il seguente: LSI EGR1 in 5q31, LSI CSF1R in 5q33-q34, LSI D7S486 in 7q31, LSI D20S108 in 20q12, sonda centromerica D8Z2 in 8p11.1-q11.1
Immunofenotipo (CONSENTITO perché potenzialmente utile)
E’ molto utile per individuare la presenza nel midollo di popolazioni patologiche (ad esempio popolazioni linfocitarie clonali) che possono sostenere l’insorgenza di citopenia del sangue periferico (diagnosi differenziale).
Nel contesto dell’individuazione di segni associati a displasia midollare, può servire per riconoscere la presenza di alterazioni del percorso maturativo a carico della popolazione granulocitaria e monocitaria attraverso la determinazione dell’espressione asincrona o atipica di antigeni di membrana o citoplasmatici. [23,24]. Tuttavia non rientra tra le analisi ritenute indispensabili nel sospetto di MDS, in quanto tali alterazioni non sono considerate specifiche. Infatti, possono comparire anche in situazioni di “dismorfismo” secondario a condizioni patologiche differenti quali infiammazione, infezione, danno da farmaci, carenza nutrizionali, etc. [3]. Può anche essere un ausilio nella quantificazione dei blasti mieloidi, anche se in accordo ai criteri WHO tale valutazione è di pertinenza citologica
Biologia Molecolare (NON CONSENTITIO se non all’interno di studi clinici)
Nessuna indagine di biologia molecolare è in indicazione, al momento, per la diagnosi, la stratificazione prognostica o il follow-up delle Sindromi Mielodisplastiche, se non all’interno si studi clinici controllati.
NB: Gli esami ritenuti NECESSARI all’interno di questo paragrafo devo essere obbligatoriamente eseguiti per porre diagnosi corretta di sindrome mielodisplastica. Se un Centro non è autonomo per quanto riguarda l’attività di laboratorio implicata, DEVE provvedere ad inviare i campioni prelevati verso un centro che può elaborare l’esame specifico, o in alternativa evitare di eseguire l’esame midollare nel proprio centro ma fissarlo in uncentro dove può essere garantito il corretto work up diagnostico |
6.3.2.7. BioREL
Raccolta e conservazione di materiale biologico dei pazienti affetti da MDS afferenti alla Rete Ematologica Lombarda (REL) nell’ambito del progetto BioREL
Il progetto BioREL ha l’obiettivo di creare un network di centri in grado di criopreservare materiale biologico in pazienti affetti da MDS secondo criteri condivisi e standardizzati, in modo da facilitare la fattibilità di studi biologici mirati alla chiarificazione dei meccanismi molecolari di tali malattie su ampie popolazioni di pazienti. I singoli centri raccolgono e criopreservano materiale biologico in piena autonomia, nel rispetto della normativa riguardante la raccolta e la conservazione del materiale biologico. Il materiale resta di proprietà del centro che lo raccoglie, che quindi può decidere liberamente come utilizzarlo. I campioni biologici vengono però conservati e processati, secondo criteri condivisi tra i centri che aderiscono al progetto, in modo da garantire standard quantitativamente e qualitativamente ottimali per la conduzione di progetti di ricerca nell’ambito della patologia in questione.
6.3.3. Logigramma Diagnostico
Flow-chart diagnostica per le MDS
6.3.4. Classificazione delle sindromi mielodisplastiche
La classificazione delle MDS fa riferimento alla Classificazione WHO delle neoplasie mieloidi.
1) Sindromi mielodisplastiche primitive
Secondo la classificazione WHO 2008 le sindromi mielodisplastiche erano distinte in sei forme principali.
Recentemente è stata pubblicata la nuova edizione della WHO del 2016. Per quanto ad oggi gli score prognostici tengano conto ancora delle versioni precedenti, riportiamo tale classificazione per permettere una più corretta definizione diagnostica.
Le caratteristiche nosologiche di tali forme sono sintetizzate nella Tabella 2a per quanto riguarda la WHO 2008 e la 2b pe quanto riguarda la WHO 2016.
Esiste una modifica della classificazione WHO della LAM che coinvolge anche le MDS. Infatti la precedente definizione di eritroleucemia prevedeva di calcolare la percentuale dei blasti solo sugli elementi non eritroidi se i precursori eritroidi supervano il 50% della cellularità. Con la WHO 2016, il calcolo dei blasti dovrà essere eseguito sempre sulla totalità della cellularità, indipendentemente dalla percentuale dei precursori eritroidi. In questo modo, molte forme che precedentemente erano considerate eritroleucemie vengono riclassificate come mielodisplasie.
La classificazione WHO 2008 identifica anche:
2 ) Neoplasie mieloidi Therapy-relatd
Le MDS secondarie a trattamento chemioterapico e/o radioterapico, o “therapy-related” rappresentano una complicanza severa nei pazienti sottoposti a chemio e/o radioterapia per neoplasie ematologiche e tumori solidi. [25,26] L’incidenza cumulativa a 10 anni varia in maniera considerevole tra lo 0.3% e il 10%, in funzione del trattamento e della durata dell’osservazione clinica. Il rischio cresce in maniera sensibile dopo due anni dalla terapia citostatica, è massimo tra i 5 e i 9 anni e si riduce in maniera considerevole dopo 10 anni.
Le MDS secondarie presentano più frequentemente citopenia multilineare severa, eccesso di blasti, fibrosi e ridotta cellularità midollare.
Il rischio di trasformazione leucemica è del 50% circa, significativamente più alto rispetto alle forme primitive. La maggiore aggressività biologica si traduce in prognosi sfavorevole. A dimostrazione della severità di queste forme, la classificazione WHO delle neoplasie mieloidi assimila in un’unica categoria le MDS e le leucemie acute secondarie a terapia. [4] Circa due terzi dei casi si presentano con le caratteristiche cliniche delle MDS ed il restante terzo come una leucemia acuta mieloide con segni di displasia emopoietica. Sono state caratterizzate diverse entità clinico-patologiche, correlate a specifici agenti utilizzati nel trattamento della patologia primaria. I due principali sottotipi sono le MDS da esposizione ad agenti alchilanti e quelle secondarie ad inibitori della topoisomerasi II. Le prime hanno un’incidenza massima dopo 5-7 anni dall’esposizione e coinvolgono più spesso soggetti di età avanzata. Le anomalie cromosomiche più frequenti sono delezioni del cromosoma 5 e 7; i pazienti con alterazioni del cromosoma 7 spesso presentano mutazioni a livello del gene RAS e hanno un decorso clinico relativamente più indolente, mentre i soggetti con anomalie del cromosoma 5 presentano spesso un cariotipo complesso ed il decorso clinico è molto aggressivo.
Le MDS secondarie ad esposizione a inibitori della topoisomerasi II coinvolgono soggetti più giovani e si associano a traslocazioni bilanciate che coinvolgono le regioni 11q23 e 21q22 ed i geni MLL, AML1, CBFB, RARα. L’andamento di queste forme è relativamente favorevole e i pazienti, almeno inizialmente, rispondono al trattamento.
3) Neoplasie mielodisplastice/mieloproliferative:
Le neoplasie mielodisplastiche/mieloproliferative (MDS/MPD) includono disordini mieloidi che presentano caratteristiche (cliniche e biologiche) sia displastiche che proliferative. Tabella 3a e 3b [4]
6.4. PIANO DIAGNOSTICO – Inquadramento Prognostico
6.4.1. IPSS (International Prognostic Scoring System)
L’indice prognostico finora più condiviso e utilizzato è stato pubblicato nel 1997 dall’”International MDS Risk Analysis Workshop” e prende il nome di IPSS (International Prognostic Scoring System).[9] (Tabella 4)
Lo score si basa su tre parametri: percentuale di blasti midollari, tipo di anomalia citogenetica e numero di citopenie periferiche. Vengono identificati quattro gruppi di rischio con sopravvivenza mediana compresa tra 68 mesi, nei pazienti a basso rischio, e meno di 6 mesi, nel gruppo ad alto rischio, e con probabilità di evoluzione leucemica a due anni compresa tra il 5% e l’80%.
L’IPSS è divenuto un riferimento fondamentale per il processo clinico decisionale di questi pazienti, essendo stato il riferimento prognostico degli studi clinici fino ad ora prodotti e pertanto rimane tuttora lo standard per le decisioni terapeutiche. [27,28,29]
6.4.2. WPSS (WHO Classification-based Prognostic Scoring System)
Nel 2007 è stato pubblicato il WPSS (WHO Classification-based Prognostic Scoring System) [30], in cui l’anemia severa con necessità di fabbisogno trasfusionale, ha acquisito una fondamentale connotazione di stratificazione prognostica associata a altre 2 variabili quali la classificazione WHO [4] e le alterazioni citogenetiche suddivise in classi di rischio come nell’IPSS [9]. (Tabella 5)
Questo score identifica 5 gruppi prognostici con sopravvivenza mediana compresa tra 103 mesi nei pazienti a rischio molto basso e meno di 12 mesi nel gruppo a rischio molto alto e con probabilità di evoluzione leucemica a due anni compresa tra lo 0% e il 79%. [31]
Il WPSS (Tabella 5) inoltre è uno score prognostico tempo-dipendente ovvero, applicabile non solo alla diagnosi, ma anche in ogni momento della storia clinica del paziente, così da permettere una più precisa valutazione della modificazione del rischio di evoluzione nella storia della patologia.
Per migliorare e implementare questo score sono state proposte 2 modifiche:
1- la sostituzione del fabbisogno trasfusionale, dipendente dal giudizio clinico e quindi soggettivo, con una variabile oggettiva costituita dall’anemia grave (Hb < 8 per le donne e Hb < 9 per gli uomini) per la quale è stata dimostrata la stessa valenza prognostica della trasfusione dipendenza; [32]
2- l’introduzione della fibrosi midollare come variabile aggiuntiva, della quale è stata dimostrata la valenza prognostica indipendente, che incrementa di 1 lo score WPSS. [31]
6.4.3. IPSS-R (International Prognostic Scoring System Revised)
Nel 2012 è stata pubblicata una revisione del IPSS: IPSS revised o IPSS-R. [33] (Tabella 6)
Questo score considera ancora come variabili prognostiche: la percentuale di blasti nel midollo osseo, la citogenetica e le citopenie, anche se le categorie di rischio citogenetiche sono cinque anziché tre come nello score IPSS originale, e la stratificazione della percentuale di blasti midollari è diventata più articolata, suddividendo le forme senza eccesso di blasti (<5%) in 2 categorie diverse (≤ 2% o > 2%).
Il modello IPSS-R considera cinque categorie prognostiche, la cui sopravvivenza globale media varia da 5,4 anni (categoria di rischio molto bassa) a 0,7 anni (categoria di rischio molto alta).
6.4.4. Logigramma Prognostico
Flow-chart delle indagini necessarie a ottenere una adeguata stratificazione prognostica dei pazienti affetti da MDS
6.4.5. Valutazione delle comorbidità
Anche le caratteristiche del paziente non correlate alla malattia ematologica devono essere analizzate per il loro potenziale impatto sulla prognosi individuale e per valutare la potenziale tollerabilità a trattamenti aggressivi. Tali caratteristiche includono età, Perfomance Status e valutazione delle comorbidità extra-ematologiche.[34]
Il performance status può essere valutato attraverso l’applicazione di indici di valutazione della funizonalità globale dell’organismo e della qualità di vita. I più utilizzati includono la scala di Karnofsky e l’ECOG, basati sulla la valutazione di tre parametri: limitazione dell’attività, cura di se stessi ed autodeterminazione.
L’impatto prognostico delle comorbidità extra-ematologiche nelle MDS viene valutato attraverso scale specifiche. In particolare, due scores di comorbidità potenzialmente utili clinicamente sono il Myelodysplastic Syndrome-specific Comorbidity Index (MDS-CI),[35] sviluppato per la popolazione generale di pazienti con MDS che ricevono soprattutto terapia di supporto, e l’Hematopoietic Cell Transplantation-specific Comorbidity sviluppato per pazienti candidati a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche [36]. I due scores hanno una base comune nella definizione del grado di severità delle singole patologie e individuano ciascuno classi di rischio distinte in base al burden di comorbidità (Tabella 7).
6.5. PIANO TERPEUTICO
Le decisioni terapeutiche nel singolo paziente con MDS devono essere considerate in base al rischio di malattia individuale (attraverso l’applicazione deli score prognostici) e alle caratteristiche del paziente (età, performance status e comorbidità etra-ematologiche).
6.5.1. Forme a rischio basso e intermedio-basso secondo indice IPSS
L’obiettivo principale è quello di migliorare la qualità della vita dei pazienti, cercando di ridurre la sintomatologia correlata alla presenza di citopenie (Terapia MDS-1), ma in alcuni casi può contemplare procedure potenzialmente curative come il trapianto di midollo (Terapia MDS-2).
6.5.1.1. Logigramma terapeutico rischio basso e intermedio-1 secondo IPSS
Flow-chart dell’approccio terapeutico nelle forme a rischio basso secondo IPSS
Flow-chart dell’approccio terapeutico nelle forme a rischio intermedio-1 secondo IPSS
6.5.1.2. Monitoraggio del paziente asintomatico (Watchful waiting strategy)
I pazienti con basso rischio evolutivo (IPSS basso o intermedio-1) e citopenie contenute:
- conta piastrinica superiore a 50.000/mm3 in assenza di sintomi,
- neutrofili assoluti maggiori di 1000/mm3 in assenza di infezioni ricorrenti e anemia lieve,
- livelli di emoglobina superiori a 10g/dL,
- in assenza di sintomatologia clinica), sono candidati a semplice follow-up. [1]
Il follow-up prevede il controllo periodico dell’emometria e del midollo per la valutazione di eventuale tendenza alla progressione. La periodicità dipende dalla situazione clinica.
Sono raccomandati durante il follow-up dei pazienti non sottoposti a trattamento attivo le seguenti indagini:
- emocromo con formula ogni 3-6 mesi. In base alle citopenie anche in intervalli più ravvicinati
- controllo periodico di funzionalità renale, clearance della creatinina e acido urico, ferritina, LDH
- ecografia addome per diametro splenico almeno 1 volta all’anno
- valutazione midollare da eseguire possibilmente ogni 12-18 mesi nel paziente stabile a seconda del giudizio clinico del curante o al peggioramento di una citopenia
6.5.1.3. Terapia trasfusionale
La terapia trasfusionale consiste nel supporto con emocomponenti in pazienti con segni e sintomi di anemia o piastrinopenia.
6.5.1.3.1. Trasfusione di emazie:
– deve essere praticata in qualsiasi paziente che dimostri sintomi da anemia. [37]
– Il livello di emoglobina sotto il quale praticare la trasfusione (solitamente compreso tra 7 e 9 g/dL) non è uguale per tutti i pazienti, ma deve essere valutato in base alle condizioni generali e alla presenza di patologie associate (malattie cardiache e polmonari).
6.5.1.3.2. Trasfusione piastrinica:
– il supporto trasfusionale a scopo di profilassi, è sconsigliato nella piastrinopenia cronica. Infatti, spesso non sussiste reale rischio emorragico e la trasfusione piastrinica frequente comporta un elevato rischio di alloimmunizzazione.[38] In questi casi va praticata solo a scopo terapeutico (presenza di franca diatesi emorragica).
– si esegue con pool di multipli donatori o aferesi da donatore singolo a scopo profilattico (prevenzione di emorragia) in caso di paziente sottoposto a trattamento per cui si prevede una piastrinopenia transitoria
- se conta piastrinica inferiore a 10×109/L: in assenza di febbre, diatesi emorragica [39]
- se conta piastrinica inferiore a 20×109/L in presenza di febbre o una diatesi emorragica muco cutanea.
6.5.1.4. Terapia ferrochelante
RAZIONALE D’IMPIEGO
L’eccesso marziale da supporto trasfusionale cronico comporta la presenza di una parte di ferro non legato alla transferrina (NTBI), in grado di penetrare le cellule e, attraverso la formazione di radicali liberi, scatenare reazioni ossidanti tali da danneggiarne l’omeostasi. I tessuti maggiormente colpiti sono fegato, cuore e ghiandole endocrine. La trasfusione dipendenza ha un impatto negativo sulla sopravvivenza, soprattutto i pazienti affetti da MDS con basso rischio, senza eccesso di blasti.[40] La causa di morte non leucemica più comune dei pazienti affetti da MDS è di origine cardiaca 41 (oltre il 60% delle cause di morte non neoplastica).[33,42] Tali evidenze fanno supporre un ruolo del sovraccarico marziale nella morbilità cardiaca e nella mortalità di questi pazienti. Anche i livelli di ferritina sierica sono associati a una sopravvivenza peggiore nei pazienti a basso rischio evolutivo. [43]
Pochi studi, nessuno dei quali prospettico e randomizzato, hanno analizzato l’impatto della terapia ferrochelante sulla mortalità nei pazienti cronicamente trasfusi. Tuttavia i dati prodotti sono a favore di un vantaggio in termini di sopravvivenza per questi pazienti se sottoposti alla terapia ferrochelante.[44,45].
L’utilizzo di terapia ferrochelante è raccomandato per tutti i pazienti sottoposti a terapia trasfusionale cronica con lunga aspettativa di vita.
Per fare diagnosi di sovraccarico marziale è sufficiente eseguire una conta precisa di unità trasfuse. Infatti la trasfusione di almeno 20 unità di globuli rossi concentrati corrisponde a circa 4-5g di carico marziale, quando il contenuto normale di ferro nell’organismo umano corrisponde a 2-5g.
Le linee guida ELN riconoscono tra i pazienti trasfusione dipendenti (supporto trasfusionale > 20U di globuli rossi concentrati) con diagnosi di Anemia refrattaria, Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello, MDS con del(5q) isolata i migliori candidati per questa terapia.
La ferrochelazione può essere praticata con Deferoxiamina o Deferasirox
MONITORAGGIO
Durante la terapia ferrochelante si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente a tale terapia. Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 mcg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento.
6.5.1.4.1. Deferoxiamina [46]
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Trattamento monoterapico di chelazione del ferro in caso di accumulo cronico del ferro (emosiderosi, talassemia, anemia sideroblastica, anemia emolitica autoimmuni, emocromatosi, porfiria) nei casi in cui sia controindicata la flebotomia
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
L’emivita della Desferoxiamina è molto breve (20-30 minuti), per cui l’utilizzo di questo farmaco per via endovenosa a infusione rapida e sporadica (es. in occasione della trasfusione) è di fatto inefficace e deve essere scoraggiato.
Per ottenere efficacia si somministra per via sottocutanea, in infusione continua della durata di 8-10 ore per 5-7 giorni alla settimana.
Il dosaggio iniziale di 10mg/Kg, l’eventuale aggiustamento della dose (con possibile aumento a 20-30mg/Kg) va stabilito sulla base di regime trasfusionale, ferritina sierica, danno d’organo e tolleranza.
DISPENSAZIONE
Il farmaco, dopo prescrizione di apposito piano terapeutico specialistico, sono forniti sul territorio
I presidi di somministrazione (pompa per microinfusione e materiale a perdere) sono prescrivibili da medici abilitati alla prescrizione di presidi e vanno richiesti alla ASL di appartenenza del paziente.
TOSSICITÀ E MONITORAGGIO NEL TEMPO
- L’utilizzo di Deferoxiamina può causare un deficit di vitamina C, verosimilmente dovuto a proprietà ossidante del farmaco sulla vitamina, per cui i soggetti adulti devono essere trattati con vitamina C al dosaggio di 100 mg x 2 volte/die dopo il primo mese di terapia.
Tale terapia deve essere evitata nei pazienti con insufficienza cardiaca.
- Il test di acuità visiva, il test con lampada a fessura, l’esame del fondo: sono periodicamente raccomandati nei pazienti trattati per lunghi periodi di tempo in quanto è possibile la comparsa di scotomi, riduzione dell’acuità visiva, alterazione della visione notturna e dei colori, neurite ottica, cataratta opacità corneale e alterazioni della pigmentazione della retina.
- L’esame audiometrico: va eseguito periodicamente dato che sono possibili disturbi dell’udito come ipoacusia, tinniti, e perdita di udito neurosensoriale.
Un Ecocardiogramma: il monitoraggio della funzionalità cardiaca è raccomandato in quanto sono stati riportati casi di insufficienza cardiaca in corso di doppio trattamento Desferoxiamina + Alte dosi di vitamina C. Tale terapia deve essere evitata nei pazienti con insufficienza cardiaca.
6.5.1.4.2. Deferasirox [47]:
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata in pazienti con altre anemie di età pari e superiore a 2 anni.
Non è raccomandato
- In fase avanzata della sindrome mielodisplastica o in presenza di un tumore allo stadio avanzato.
- Nei pazienti con aspettativa di vita breve (es. sindromi mieolodisplastiche ad alto rischio), in particolare quando morbilità concomitanti possono aumentare il rischio di eventi avversi, dato che il beneficio di Deferasirox può essere limitato e inferiore ai rischi.
E’ controindicato:
- Nei pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min e i pazienti con grave compromissione epatica (Child-Pugh Class C).
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
Dose iniziale consigliata:
– nuova formulazione Compresse Rivestite con Film – Film Coated Tables –FCT-: 14 mg/kg/die (7 à 21 mg/kg/die), prescrivibile da Aprile 2017
[Compresse dispersibili (da risospendere) -vecchia formulazione-: 20mg/Kg/die (10à 30 mg/kg/die)]
L’aggiustamento della dose (variabile tra 7-21 mg/kg/die per FCT – 10-30mg/Kg per compresse dispersibili) va fatto sulla base del regime trasfusionale, della ferritina, del danno d’organo e sulla tolleranza del paziente degli effetti collaterali.
La dose terapeutica va raggiunta gradualmente con dosaggi incrementali per prevenire gli effetti collaterali del farmaco.
Si somministra per os una volta al giorno.
Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito.
Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere.
Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione.
DISPENSAZIONE
Dispensazione ospedaliera in indicazione attraverso la rendicontazione di File F tipologia 6.
TOSSICITÀ
con la nuova formulazione FCT sono stati ridotti i frequenti disturbi dell’alvo, in particolare diarrea, spesso legata ad intolleranza al lattosio, che non è più presente nelle nuove compresse.
Sono state segnalate ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore. Possono comparire eruzioni cutanee, spesso a risoluzione spontanea.
Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) solitamente entro il primo mese di trattamento.
MONITORAGGIO NEL TEMPO
Funzionalità renale:
La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti) e/o i livelli plasmatici di cistatina C devono essere monitorati:
- due volte prima di iniziare la terapia.
- settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con Deferasirox, e
- successivamente una volta al mese.
Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause.
Se, dopo una riduzione della dose si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto.
Funzionalità epatica:
- Viene raccomandato di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina:
- prima dell’inizio del trattamento,
- ogni 2 settimane durante il primo mese
- poi mensilmente.
Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, il farmaco deve essere interrotto. Dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose.
Esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) NON necessari, derivati da deferoxamina
Prima di iniziare la terapia. Successivamente una volta all’anno.
dato che sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino)
6.5.1.5. Fattore di crescita eritropoietico (eritropoietina ricombinante)
RAZIONALE D’IMPIEGO
Il razionale d’impiego degli agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) si basa sulla possibilità di ridurre o annullare il fabbisogno trasfusionale e di migliorare l’anemia attenuando i sintomi ad essa correlata (dispnea, tachicardia, astenia).
La riduzione del fabbisogno trasfusionale del paziente con MDS ha un impatto sulla qualità della vita; alcuni studi recenti hanno dimostrato anche un incremento della sopravvivenza nei pazienti responsivi. [48,49,50]
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
La terapia con ESA ha indicazione nei pazienti con sindrome mielodisplastica che dimostrano basso rischio evolutivo (IPSS basso o intermedio-1) con riscontro di anemia sintomatica o trasfusione dipendente (2 riscontri consecutivi di Hb inferiore a 10 g/dL o supporto trasfusionale).
SCORE di PREVISIONE DI RISPOSTA agli ESA
Nel 1997 Hellström-Lindberg e collaboratori hanno proposto uno score,[51] rivisto poi nel 2003,[52] predittivo dell’efficacia della terapia con ESA. Le variabili che condizionano la risposta agli ESA sono i livelli basali di eritropoietina endogena e la presenza, nonché dall’entità, del fabbisogno trasfusionale, come indicato nella Figura seguente:
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
Somministrazione per via sottocutanea.
Il dosaggio iniziale standard usuale è compreso tra 30.000-40.000UI/settimana.
Le linee guida Italiane [53] raccomandano dosaggio iniziale più alto (60.000-80.000 UI/settimana), tuttavia risulta molto probabile ottenere risposta anche a dosaggi iniziali standard nei pazienti che totalizzano uno Score di Hellström-Lindberg (HLS) di 4. [54]
Per i criteri di risposta si fa riferimento ai criteri dell’IWG 2006 [55]. Il trattamento va mantenuto per almeno 20 settimane prima di attestare la mancata efficacia, data la possibilità di risposta tardiva.
Il dosaggio deve essere modulato in base alla risposta. riducendo la posologia fino al minimo dosaggio efficace per mantenere un target terapeutico di 11 g/dl di emoglobina (range 10-12g/dL ).
In caso di non raggiungimento della risposta può essere incrementato fino ad 80.000U/settimana. [56,57]
DISPENSAZIONE E MONITORAGGIO AIFA
Dispensazione ospedaliera in legge 648attraverso la rendicontazione di File F tipologia 3.
E’ necessaria la compilazione del Registro AIFA cartaceo che prevede l’inserimento di:
anamnesi, emocromo, conta reticolocitaria, dosaggio eritropoietina e pressione arteriosa prima del trattamento e ogni 3 mesi, e eventi avversi eventuali ogni 3 mesi.
TOSSICITÀ E MONITORAGGIO NEL TEMPO
Eventi avversi più frequenti sono:
- ipertensione arteriosa (controllo frequente soprattutto nel primo mese di terapia dei valori pressori ed eventuale inserimento di terapia antiipertensiva o adattamento posologico di eventuale terapia già in corso, in base alle rilevazioni)
- trombosi venosa profonda (in caso di superamento di Hb 12 g/dl necessaria riduzione del dosaggio)
- Sono stati segnalati rarissimi casi di Pure Red Cell Aplasia, correlata alla produzione di autoanticorpi anti eritropoietina
6.5.1.6. Lenalidomide
RAZIONALE D’IMPIEGO
La Lenalidomide è un farmaco derivato dalla Thalidomide. E’ stato utilizzato in studi di fase II e III in pazienti a basso rischio con anemia trasfusione dipendente. In particolare lo studio MDS004 ha confrontato l’efficacia della Lenalidomide versus placebo in pazienti con rischio IPSS basso e intermedio-1, trasfusione-dipendenti con delezione 5q. [58] Questo lavoro ha dimostrato il raggiungimento della trasfusione-indipendenza per oltre 26 settimane nel 56.1% dei pazienti trattati con Lenalidomide 10mg, con tasso di risposta citogenetica del 50%.
Gli effetti collaterali più comuni sono neutropenia (75% dei casi), trombocitopenia (40%), trombosi venosa profonda (6%).
Il rischio di evoluzione acuta nei pazienti trattati con Lenalidomide in questo studio è risultato del 16.8% a due anni e del 25.1% a tre anni (lo studio comprendeva anche pazienti con alterazioni cromosomiche addizionali e con blastosi midollare superiore al 10%). E’ stato dimostrato che la presenza di mutazioni del gene TP53 comporta maggiore probabilità di progressione leucemica in pazienti con citogenetica 5q-. La presenza di tale mutazione sembra conferire resistenza al trattamento con Lenalidomide, nonostante apparente iniziale riduzione del clone e transitoria remissione citogenetica. [59]
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
In Italia il farmaco è utilizzabile:
- in prima linea secondo scheda tecnica per la seguente indicazione [60]: portatori di delezione 5q- isolata che hanno fallito o non sono candidabili a terapia con fattore di crescita eritrocita rio
- nell’elenco dei medicinali a totale carico del SSN ai sensi della legge 648/96 per le seguente indicazione: portatori di delezione 5q- associata ad altre anomalie cromosomiche che hanno fallito o non sono candidabili a terapia on fattore di crescita eritrocitario
I pazienti devono avere le seguenti caratteristiche.
Anemia trasfusione dipendenti con sindrome mielodisplastica a rischio basso o intermedio 1
Il fabbisogno trasfusionale sussiste se il paziente è sottoposto ad almeno 2 unità di globuli rossi concentrati nelle 8 settimane precedenti l’inizio del trattamento.
Sono esclusi pazienti con valori di creatinina sierica > 2.5 mg/dL.
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
- Dose iniziale 10 mg/die per 21 giorni ogni 28, fino a perdita della risposta
- Definizione di risposta secondo criteri IWG.
- Il dosaggio può essere proseguito o modificato in base ai risultati clinici e di laboratorio
- Non necessaria terapia di supporto specifica.
- Non è richiesta la profilassi antitrombotica.
- La terapia si somministra per os.
- Le capsule di Lenalidomide devono essere assunte nei giorni stabiliti, circa alla stessa ora.
- Le capsule non devono essere aperte, spezzate o masticate e devono essere deglutite intere, preferibilmente con acqua, con o senza assunzione di cibo.
- Il paziente può prendere una dose dimenticata se sono trascorse meno di 12 ore dall’ora prevista per la sua assunzione. Se invece sono trascorse più di 12 ore, il paziente non deve prendere la dose dimenticata, ma aspettare la solita ora del giorno seguente per prendere la dose successiva.
DISPENSAZIONE E MONITORAGGIO AIFA
Dispensazione ospedaliera:
- se in indicazione attraverso la rendicontazione di File F tipologia 1.
- se in legge 648 attraverso la rendicontazione di File F tipologia 3.
E per entrambi scheda di Richiesta Farmaco AIFA
Per ottenere il farmaco è necessario compilare per ciascun paziente la scheda di monitoraggio AIFA che prevede:
- La scheda di valutazione dell’eleggibilità (con cui viene stabilito anche il regime di dispensazione del farmaco – Label: 30/09/2014; Legge 648/96: 16/09/2014)
- Le Richieste Farmaco che servono per il calcolo del MEA (Managed Entry Agreement), indispensabili ai fini del proseguimento della terapia
- L’inserimento delle schede di rivalutazione clinica, ogni 8 settimane, indispensabili per l’inserimento della Richiesta Farmaco successiva.
TOSSICITÀ E MONITORAGGIO NEL TEMPO
Sono eventi avversi attesi:
- Neutropenia, piastrinopenia,
- Rash cutaneo, angioedema, rash esfoliativo o bolloso, sindrome di Stevens-Johnson (SSJ) o necrolisi epidermica tossica (NET).
Il trattamento non deve essere iniziato se la conta assoluta dei neutrofili (Absolute Neutrophil Counts, ANC) < 0,5 x 109/L e/o la conta piastrinica < 25 x 109/L.
Livelli di riduzione della dose
Per effetti tossici di grado 3 o 4 che si ritengano correlati a Lenalidomide, il trattamento deve essere interrotto e deve essere ripreso al dosaggio successivo più basso solamente quando la tossicità è scesa ad un livello ≤ grado 2, a discrezione del medico. Deve essere considerata la sospensione o l’interruzione di Lenalidomide in caso di rash cutaneo di grado 2 o 3.
Interruzione della terapia:
- pazienti che non presentano almeno una lieve risposta eritroide entro 4 mesi dall’inizio della terapia, dimostrata da una riduzione di almeno il 50% del fabbisogno trasfusionale o, se non sottoposti a trasfusioni, da un aumento di 1 g/dl dell’emoglobina,
- in caso di angioedema, rash di grado 4, rash esfoliativo o bolloso, in caso di sospetta sindrome di Stevens-Johnson (SSJ) o necrolisi epidermica tossica (NET), e non deve essere ripreso dopo la sospensione avvenuta a causa di queste reazioni.
Mielosoppressione:
6.5.1.7. Terapia immunosoppressiva (ATG + Ciclosporina)
RAZIONALE D’IMPIEGO
Diverse osservazioni cliniche e biologiche hanno suggerito che la fisiopatologia dell’insufficienza midollare nelle MDS possa essere mediata almeno in parte dal sistema immunitario, sostenendo l’impiego della terapia immunosoppressiva. In letteratura sono disponibili soprattutto osservazioni non controllate sull’uso della globulina antitimocitaria (ATG) e/o della ciclosporina A per il trattamento delle MDS.
Nell’unico trial randomizzato [62] che prevedeva l’utilizzo di terapia immunosopressiva con ATG + Ciclosporina nei pazienti affetti da MDS a basso rischio, risultavano avere un beneficio solo i pazienti con malattia ipoplasica. Oltre all’ipoplasia midollare, la giovane età, la breve durata di storia trasfusionale e la positività per l’HLA-DR15 sono state individuate come variabili pre-trattamento associate alla risposta alla ATG. [1;54]
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
La somministrazione di ATG è gravata da una tossicità non trascurabile, in particolare nei soggetti anziani. Sulla base della limitata evidenza e valutando i potenziali benefici e gli effetti collaterali, la globulina antitimocitaria può essere ragionevolmente considerata nei pazienti con midollo ipoplastico, di età inferiore ai 60 anni, con meno del 5% di blasti midollari, citogenetica normale, e trasfusione-dipendenti, non candidabili a,o dopo fallimento con, fattori di crescita emopoietici. L’uso di ATG è inoltre raccomandato in presenza di positività per HLA-DR 15
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
Può essere impiegato siero antilifocitario di Cavallo (40 mg/Kg per 4 gg) o di Coniglio (3.5mg/hg/die per 5 giorni) associato a Ciclosporina (dosaggio iniziale 10 mg/kg/die per os, a dosaggio adeguato secondo la ciclosporinemia C0 per 180 giorni). Il siero di Cavallo è risultato più efficace del siero di Coniglio nel setting dell’anemia aplastica. [63]
6.5.1.8. Trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche
RAZIONALE D’IMPIEGO
Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è il solo trattamento potenzialmente curativo nei pazienti affetti da sindrome mielodisplastica. Un terzo dei pazienti sottoposti a trapianto allogenico ha beneficio a lungo termine, ma solo il 10% circa di tutti i pazienti con sindrome mielodisplastica è eleggibile ed ha un donatore compatibile.
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
In tutti i pazienti eleggibili con età <65-70 anni è indicato eseguire la tipizzazione HLA con ricerca di donatore nella fratria.
Se non disponibile un donatore famigliare va valutata la opportunità di aprire una ricerca di un donatore HLA-identico da registro (MUD) o indagare la disponibilità di un donatore aploidentico.
Per la corretta gestione di tale percorso il paziente va riferito necessariamente a un Centro Trapianti Accreditato.
Nella valutazione del rischio/beneficio individuale, oltre alle variabili demografiche e a quelle legate alla malattia, un fattore critico per l’impatto sulla mortalità da trapianto è la valutazione delle eventuali patologie associate. L’applicazione dell’indice di comorbidità trapianto-specifico (Hematopoietic Cell Transplantation-specific Comorbidity Index, HCT-CI – tabella 7), consente di stimare il rischio di mortalità in funzione del numero e del tipo di patologie associate.
CONDIZIONAMENTO
Il trapianto allogenico da donatore HLA-identico con “condizionamento standard” è indicato nei pazienti di età inferiore a 55 anni.
Il trapianto allogenico da donatore HLA-identico con “condizionamento ridotto” può essere considerato generalmente nei pazienti eleggibili più anziani.
TIMING
Un altro fattore critico nella decisione clinica è il momento ottimale per eseguire il trapianto. Il trapianto ha esito tanto più favorevole quanto più precocemente è eseguito. Tuttavia, in molti pazienti la diagnosi di MDS a basso rischio non influisce sulla qualità della vita e vi è una bassa probabilità progressione di malattia. In questi casi spesso non può essere ritenuto accettabile il rischio immediato di morbidità e mortalità correlato al trapianto precoce. A questo proposito dati di letteratura indicano che nei pazienti ad alto rischio (IPSS intermedio-2 e alto) l’attuazione del trapianto immediatamente dopo la diagnosi è associata alla prognosi migliore, mentre nei pazienti con rischio IPSS basso o intermedio-1 il beneficio è generalmente maggiore se il trapianto è differito nel tempo, ma eseguito prima dell’evoluzione in LAM. [64,65]. Per i pazienti in fase precoce di malattia eleggibili a procedura trapiantologica, la decisione del “timing” deve tuttavia essere personalizzata, tenendo conto di tutte le informazioni disponibili sullo stato di malattia, e delle condizioni generali del singolo paziente.
TERAPIA PRE-TRAPIANTO
Un altro aspetto controverso è l’utilità della chemioterapia prima del trapianto allo scopo di ridurre la quota dei blasti midollari nelle forme con eccesso di blasti. Sebbene non vi siano dati sufficienti a sostenerne l’utilità, gli esperti ritengono che affrontare il trapianto con una quota di blasti midollari inferiori al 10% favorisca il successo della procedura terapeutica
6.5.2. Forme a rischio intermedio-alto secondo IPSS
6.5.2.1. Logigramma Terapeuticorischio intermedio-alto e alto secondo IPSS
Flow-chart dell’approccio terapeutico nelle forme a rischio intermedio-2 e alto secondo IPSS
6.5.2.2. Terapia Ipometilante
RAZIONALE D’IMPIEGO
Studi biologici hanno dimostrato che l’ipermetilazione del DNA può essere coinvolta nella patogenesi delle neoplasie mieloidi. Gli analoghi pirimidinici 5-azacitidina e 5-aza-2-deossicitidina (decitabina) possono ridurre l’ipermetilazione e re-indurre l’espressione di geni onco-soppressori.
6.5.2.2.1. Azacitidina
RAZIONALE D’IMPIEGO
In uno studio randomizzato di fase III su pazienti ad alto rischio (AZA001),[66] 5-azacitidina ha dimostrato un miglioramento significativo della sopravvivenza rispetto al trattamento convenzionale (“best supportive care” o Citarabina a basse dosi o chemioterapia AML-like, scelti secondo il parere del curante prima della randomizzazione), con una mediana di sopravvivenza di 24.5 mesi rispetto a 15 mesi. L’aumento della sopravvivenza risultava indipendente da età, classificazione FAB [2] o WHO[4], percentuale di blasti midollari e alterazione del cariotipo (in particolare le forme a cariotipo sfavorevole mantengono la stessa probabilità di risposta) ed è stata dimostrata anche in pazienti che non hanno raggiunto la remissione completa.
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Pazienti adulti non eleggibili al trapianto di cellule staminali emopoietiche con:
- sindromi mielodisplastiche (SMD) a rischio intermedio 2 e alto secondo l’International Prognostic Scoring System (IPSS),
- leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) con il 10‑29% di blasti midollari senza disordine mieloproliferativo, cioè con leucociti < 12000/ul
- leucemia mieloide acuta (LMA) con blasti <30% e displasia multilineare, secondo la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
POSOLOGIA, MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
75 mg/m2, iniettata per via sottocutanea, ogni giorno per 7 giorni, cui deve seguire una pausa di 21 giorni (ciclo di trattamento di 28 giorni).
Per necessità organizzative il regime più usato prevede uno schema 5-2-2 che salta il weekend e che è stato dimostrato avere comunque eguale efficacia. [67]
Per evitare la reazione locale, cambiare l’ago prima della somministrazione sotto cute senza eliminare l’aria dall’ago (data la tossicità del farmaco su cute).
Per prevenire reazione locale in sede di inoculo:
- Pomata steroidea in sede di inoculo
- Pomata lipidica a base di vitamina E (VEA Lipogelâ)
- Olio di primrosa.[60]
Se reazione locale importante:
- Antistaminico 1 cp/die prima di ogni somministrazione
Se persiste:
Prednisone 5 mg 1 cp prima di ogni somministrazione
Altra terapia di supporto:
- solo nel primo ciclo e/o se insorgenza di nausea alle somministrazioni precedenti: zofran 1 cp /die prima di ogni somministrazione
- solo se iperuricemia: allopurinolo 300 mg 1 cp/die
Criteri di risposta:
La risposta si evidenzia convenzionalmente entro sei cicli di trattamento.
E stato dimostrato che anche pazienti con sola risposta ematologica, il trattamento con 5-azacitidina è in grado di migliorare la sopravvivenza. [69]
L’indicazione è quindi di proseguire il trattamento fino a progressione di malattia nei casi in cui si sia ottenuta almeno risposta ematologica.
Nei pazienti che presentano malattia stabile dopo 6 cicli, si può considerare l’interruzione della terapia.
DISPENSAZIONE E MONITORAGGIO AIFA
Dispensazione ospedaliera in indicazione attraverso la rendicontazione di File F tipologia 5 e per entrambi scheda di Richiesta Farmaco AIFA.
Per ottenere il farmaco è necessario compilare per ciascun paziente la scheda di monitoraggio AIFA che prevede:
La scheda di valutazione dell’elegibilità
Le Rchieste Farmaco che servono per il calcolo del MEA (Managed Entry Agreement), indispensabili ai fini del proseguimento della terapia
L’inserimento delle schede di rivalutazione clinica, ogni 6 cicli, indispensabili per l’inserimento della Richiesta Farmaco successiva.
TOSSICITÀ
Il profilo di tossicità è minimo e soprattutto correlato con l’incremento transitorio delle citopenie periferiche.
Frequenti sono le reazioni cutanee nella sede di inoculo e alterazioni dell’alvo.
MONITORAGGIO NEL TEMPO
ADATTAMENTO POSOLOGICO
Mielotossicità:
- Pazienti che presentano al basale valori di emocromo non ridotti (leucociti > 3,0 x 109/l, ANC > 1,5 x 109/l e piastrine > 75,0 x 109/l) prima del primo trattamento:
- Qualora si riscontri tossicità ematologica [piastrine <50,0 x 109/L e/o la conta assoluta dei neutrofili (ANC) < 1 x 109/L] il ciclo successivo può essere posticipato di max 14 gg (5° o 6° sett)
- Se si ottiene un recupero non è necessario alcun adattamento posologico.
- Se non si è ottenuto un recupero entro 14 giorni, la dose deve essere ridotta come riportato nella tabella seguente.
Non sono disponibili studi randomizzati ma la pratica clinica suggerisce che la riduzione di dose non venga effettuata sulla dose giornaliera ma riducendo il numero di somministrazioni da 7 a 5 per ciascun ciclo.
Dopo l’adattamento della dose, la durata del ciclo deve essere nuovamente pari a 28 giorni.
2) Pazienti che presentano al basale valori di emocromo ridotti (leucociti < 3,0 x 109/l o ANC < 1,5 x 109/l o piastrine < 75,0 x 109/l) prima del primo trattamento:
- Se la riduzione di leucociti, ANC o piastrine rispetto ai valori precedenti il trattamento è inferiore al 50%, oppure superiore al 50%, ma con un miglioramento della differenziazione di qualsiasi linea cellulare il ciclo successivo non deve essere posticipato e non deve essere condotto alcun adattamento posologico.
- Se la riduzione di leucociti, ANC o piastrine rispetto ai valori precedenti il trattamento è superiore al 50%, senza alcun miglioramento nella differenziazione della linea cellulare il ciclo successivo può essere posticipato di max 14 gg (5° o 6° sett)
- Se si ottiene un recupero entro 14 giorni, non è necessario alcun adattamento posologico.
- Se non si è ottenuto un recupero entro 14 giorni, se ripetuta valutazione midollare, bisogna considerare la celularità midollare:
- se è > 50% non deve essere effettuato alcun adattamento posologico.
- se è ≤ 50%, il trattamento deve essere posticipato e la dose deve essere ridotta come riportato nella tabella seguente:
Non sono disponibili studi randomizzati ma la pratia clinica suggerisce che la riduzione di dose non venga effettuata sulla dose giornaliera ma riducendo il numero di somministrazioni da 7 a 5 per ciascun ciclo.
Dopo l’adattamento della dose, la durata del ciclo deve essere nuovamente pari a 28 giorni.
Insufficienza renale:
I pazienti con grave compromissione d’organo devono essere sottoposti ad attento monitoraggio per gli eventi avversi.
Non si raccomanda alcuna modifica specifica della dose iniziale nei pazienti con compromissione renale(ad es. creatinina sierica al basale o azoto ureico nel sangue [BUN] ≥ 2 volte superiore al limite superiore normale o bicarbonato sierico inferiore a 20 mmol/l) prima dell’inizio del trattamento;
le successive modifiche della dose devono basarsi sui valori ematologici e renali di laboratorio. Qualora si verificassero riduzioni inspiegabili dei livelli di bicarbonato sierico fino a meno di 20 mmol/l, la dose deve essere ridotta del 50% nel ciclo successivo.
In caso di aumenti inspiegabili della creatinina sierica o dei valori di azoto ureico nel sangue [BUN] ≥ 2 volte ai valori al basale e al limite superiore normale, il ciclo successivo deve essere posticipato fino a che i valori non siano tornati nella norma o ai valori del basale e la dose deve essere ridotta del 50% nel ciclo di trattamento successivo
Epatopatia:
I pazienti con grave compromissione epatica d’organo devono essere sottoposti ad attento monitoraggio per gli eventi avversi.
Non si raccomanda alcuna modifica specifica della dose iniziale nei pazienti con compromissione epatica prima dell’inizio del trattamento;
le successive modifiche della dose devono basarsi sui valori ematologici di laboratorio.
6.5.2.2.2. Decitabina
RAZIONALE D’IMPIEGO
La Decitabina sembra dare risposte simili alla 5-azacitidina, ma in uno studio di fase III non è stato dimostrato un miglioramento della sopravvivenza. [70]
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Decitabina è indicato per il trattamento di pazienti adulti di età uguale o superiore ai 65 anni con nuova diagnosi di leucemia mieloide acuta (LAM) “de novo” o secondaria, e che non siano candidabili alla chemioterapia di induzione standard.
QUINDI al momento NON è indicata nei pazienti affetti da Sindrome Mielodisplastica, cioè nei pazienti con una conta blastica < 20%.
6.5.2.2.3. Chemioterapia intensiva (AML-like)
RAZIONALE D’IMPIEGO
La chemioterapia intensiva (AML-like) è stata utilizzata nel trattamento di queste forme e si basa in genere sulla combinazione di Citosina Arabinoside e Antraciclina. Questo trattamento induce un’aplasia profonda e prolungata con relativo rischio infettivo e elevato fabbisogno trasfusionale. Questo trattamento può indurre remissione di malattia nel 40-60% dei casi, ma in genere si tratta di remissioni di breve durata, con una mediana di 10-12 mesi. Solo nel 10-15% dei casi si possono ottenere remissioni durature. La risposta è fortemente influenzata dalla citogenetica, cioè improbabile in caso di citogenetica prognosticamente sfavorevole. [71]
6.6. Piano Assistenziale (assessment infermieristico)
6.6.1. Supporto trasfusionale
6.6.1.1. Programmazione ed effettuazione della terapia trasfusionale
ACCERTAMENTO DELL’INDICAZIONE:
- Anamnesi comprensiva di precedenti trasfusioni e/o reazioni trasfusionali
- Richiesta di consenso informato alla trasfusione e al trattamento dei dati personali
- Compilazione della richiesta
PREDISPOSIZIONE DEL SUPPORTO TRASFUSIONALE
- Prelievo del campione di sangue per la determinazione ed il controllo di gruppo, ricerca di anticorpi irregolari e prove di compatibilità
- Disposizione per l’invio all’emoteca di richiesta e prelievi
- Ritiro delle unità assegnate da parte di personale formato
- Conservazione in reparto delle unità consegnate fino al momento della trasfusione
PROCEDURA TRASFUSIONALE
- Doppio controllo (Medico-Infermiere)
- Preparazione dell’atto trasfusionale
- Sorveglianza dei parametri vitali
- Rilevazione e segnalazione di anomalie riferibili a possibili reazioni trasfusionali
- Prelievi per la valutazione dell’efficacia e inserimento dei risultati nella cartella clinica
- Sorveglianza dei parametri vitali
- Registrazione dell’ora di termine della trasfusione
- Effettuazione prelievi per la valutazione dell’efficacia e inserimento dei risultati nella cartella clinica
- Monitoraggio e sorveglianza
- Gestione reazioni avverse
6.6.1.1.1. Garantire la sicurezza nella fase di richiesta degli emocomponeneti
INTERVENTI
- Identificazione attiva del paziente
- Prelievo del campione di sangue per la determinazione e il controllo di gruppo, ricerca di anticorpi irregolari e prove di compatibilità
SPECIFICHE
Ritiro delle unità assegnate
- L’infermiere che riceve le unità di sangue o di emocomponenti verifica la completezza e la congruità dei dati scritti sull’etichetta e sulla sacca, avendone la responsabilità della conservazione in reparto
- L’infermiere che riceve il contenitore con le unità da trasfondere effettua il controllo della temperatura del contenitore, al momento dell’apertura dello stesso, segnalando all’emoteca se vi sono delle evidenti alterazioni della temperatura.
Emazie concentrate
Le unità di EC non possono essere conservate in reparto. L’intervallo di tempo tra la consegna delle unità e l’inizio della trasfusione deve essere il più breve possibile e la trasfusione deve essere di norma completata entro 4 ore dalla consegna per evitare il rischio microbiologico.
Se l’utilizzo dell’unità subisce dei ritardi, deve essere restituita all’EMOTECA entro 30 minuti, allegando il modulo di Restituzione ritirati e non trasfusi”.
Con un flusso d’infusione inferiore a 100 ml/min, non è necessario riscaldare il sangue prima dell’uso (DE Manuale di terapia trasfusionale
Concentrati piastrinici
Le unità di PLT vanno mantenute a temperatura ambiente (22°C) e agitate delicatamente prima dell’utilizzo, per eliminare l’aggregazione spontanea cui vanno incontro.
In caso di mancanza di agitatore apposito in reparto, devono essere trasfuse nel minore tempo possibile dall’arrivo e se l’utilizzo dell’unità subisce dei ritardi, deve essere restituita allegando il modulo apposito
Plasma fresco congelato
Le unità di PFC non possono essere conservate in reparto. Devono essere scongelate a 37°C e devono essere trasfuse nel più breve tempo possibile. Se l’utilizzo dell’unità subisce dei ritardi, deve essere restituita all’EMO entro 2 ore, allegando il modulo apposito.
6.6.1.1.2. Garantire la sicurezza nella fase di trasfusione
INTERVENTI:
L’infermiere:
- Informa il paziente e verifica che abbia compreso la procedura
- Si reca al letto del paziente per effettuare i controlli pretrasfusionali
- Effettua i controlli pretrasfusionali insieme al medico (contenuto sacca, gruppo AB0 e fattore RH, identità pz, identità prodotto e compatibilità tra i due)
- Dopo aver verificato i dati sulla sacca esegue l’identificazione attiva del paziente
- Esegue l’igiene delle mani rispettando i tempi di contatto
- Predispone il corretto deflussore per la trasfusione di emocomponenti
- Utilizza correttamente i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale)
- All’avvio della trasfusione si regola la velocità di infusione affinché termini l’infusione nella tempistica corretta
- Registra l’ora di inizio della trasfusione
- Sorveglia il pz continuativamente per i primi 10 minuti della trasfusione
- Rileva i parametri vitali almeno con questa frequenza: all’inizio, dopo 10 min e al termine (in base alla tipologia di emocomponente)
- Registra l’ora di termine della trasfusione
- Smaltimento dei materiali utilizzati e conservazione della sacca (come da procedura interna)
- Esegue l’igiene delle mani rispettando i tempi di contatto
SPECIFICHE
- Chi riceve il contenitore con le unità da trasfondere, deve effettuare l’esame ispettivo macroscopico delle sacche al fine di evidenziare la presenza di coaguli o di altre anomalie.
- Verifica la corrispondenza d’identità tra l’anagrafica della richiesta, le etichette di assegnazione poste sul retro della sacca e i moduli di consegna che accompagnano ciascuna sacca
- Verifica l’identità tra il paziente, che deve ricevere la trasfusione, ed il nominativo del ricevente riportato sulla richiesta, sul retro della sacca e sui moduli di consegna; l’identificazione avviene attraverso domanda diretta e, se presente, con braccialetto identificativo
- Documenta l’esecuzione del controllo mediante firma sull’etichetta di assegnazione posta sul retro della sacca, sul modulo di consegna e mediante segnalazione firmata nel diario infermieristico incartella.
- L’infermiere innesta l’estremità del deflussore adeguato (spike) alla sacca e raccorda l’ago al set trasfusionale.
6.6.1.1.3. Garantire il monitoraggio
INTERVENTI:
Prima dell’inizio, durante e al termine della trasfusione, rilevare ad intervalli regolari:
- temperatura
- polso
- pressione arteriosa
- respiro
- stato di coscienza
Il personale medico ed infermieristico responsabile della procedura di trasfusione al letto del paziente, deve essere in grado di riconoscere i sintomi di una sospetta reazione trasfusionale al suo esordio ed intervenire tempestivamente. In linea di massima ogni “manifestazione avversa” durante la trasfusione deve essere considerata come reazione alla trasfusione fino a quando non si mostra il contrario.
SPECIFICHE
L’infermiere segnala nell’apposito modulo l’ora di termine della trasfusione, l’eventuale comparsa di complicanze ed elimina correttamente la sacca e il deflussore utilizzati
Sintomi:
- Dolori lombari o toracici
- Brividi
- Eritema, orticaria
- Ipotensione e shock
- Dispnea
- Emorragie generalizzate
- Emoglobinuria
- Oliguria, anuria
- Insufficienza renale
- DIC
- Nausea, vomito, diarrea
- Edema laringe, broncospasmo
- Ipotensione, shock, arresto cardiaco
- Tosse, edemi polmonare e periferici
- Tachicardia.
In caso di reazione trasfusionale:
- sospendere la trasfusione
- mantenere pervia la via venosa mediante l’infusione di soluzione fisiologica
- eseguire al letto del paziente i controlli di corrispondenza tra i moduli di assegnazione dell’unità trasfusa e il ricevente
- prelevare 2 provette tappo rosso in EDTA + le prime urine emesse dopo la reazione
- conservare la sacca parzialmente utilizzata.
Il medico provvederà a:
- compilare il modulo allegato alla sacca di avvenuta trasfusione (e/o interruzione) segnalando l’insorgenza di complicanze
- compilare il modulo di “Segnalazione di reazione Trasfusionale”
6.6.1.1.4. Garantire la sorveglianza
INTERVENTI:
Il personale medico ed infermieristico responsabile della procedura di trasfusione al letto del paziente, deve essere in grado di garantire una sorveglianza adeguata per eventuali eventi avversi tardivi
SPECIFICHE
La comparsa di eventuali complicazioni tardive come porpora post-trasfusionale o altri disturbi, che potrebbero manifestarsi anche a distanza di giorni, deve essere segnalata all’emoteca, con le stesse modalità sopra descritte
6.6.2. Gestione generale della chemioterapia
ACCERTAMANTO DELL’INDICAZIONE
L’infermiere deve controllare la prescrizione al momento della somministrazione.
Sono elementi essenziali di una corretta prescrizione:
- Data di prescrizione
- Nome e cognome del paziente, data di nascita e sesso
- Altezza e peso per il calcolo della superficie corporea (BSA)
- Diagnosi, sede della patologia
- Nome e codice numerico del protocollo del trattamento sperimentale, nel caso di studio clinico
- Nome dello schema, numero del ciclo di trattamento, numero del giorno all’interno del ciclo di trattamento
- Denominazione del principio attivo (evitando acronimi e nome commerciale)
- Indicazione della metodologia utilizzata per il calcolo della dose o indicazione degli standard di riferimento, come nel caso del calcolo della clearance della creatinina
- Dose per ogni farmaco presente (riferendosi a valori in mg)
- Percentuale di riduzione della dose rispetto allo schema standard di base e/o ai cicli precedenti
- Via, durata di somministrazione e diluente (tipologia e volume).
- Intervalli di trattamento tra i vari farmaci somministrati nello stesso giorno del ciclo e tra i vari cicli
- Sequenza con la quale devono essere somministrati i farmaci (compresa la terapia ancillare)
- Regime di supporto appropriato (pre e post medicazioni, idratazione, fattori di crescita, antiallergici, antiemetici, soluzione ipotonica per lavaggio dei cateteri venosi centrali e periferici)
- Data prevista per la rivalutazione dello stato di malattia o numero di ciclo entro il quale provvedere alla rivalutazione della malattia
- Presenza della firma del medico prescrittore responsabile
GESTIONE DELLA TOSSICITÀ
L’infermiere deve
- predisporre materiale info/educativo a supporto e verificare che il paziente e/o care-giver abbia compreso
- monitorare il paziente durante la terapia, educandolo e informandolo su tutti gli effetti collaterali in modo che possa riferire tempestivamente all’infermiere o al medico ematologo eventuali problemi.
- utilizzare scale di valutazione codificate e condivise dall’equipe multidisciplinare (ad es. CTCAE)
- contribuire in maniera determinante allo sviluppo degli strumenti necessari al supporto del paziente nella gestione della terapia.
L’educazione del paziente è mirata a responsabilizzare il paziente informandolo sulla corretta gestione della terapia
- istruendolo a riconoscere precocemente gli effetti collaterali
- rendendolo consapevole dell’importanza di una regolare assunzione dei farmaci prescritti
- stimolandolo ad essere protagonista del proprio percorso terapeutico
6.6.2.1. Terapia ipometilante
PREPARAZIONE E CONSERVAZIONE
L’infermiere deve conoscere procedure e protocolli relativi alla manipolazione sicura dei farmaci antiblastici
Se il farmaco è preparato del personale infermieristico:
- 5-Azacitidina è un medicinale citotossico e pertanto, come avviene con altri composti potenzialmente tossici, occorre usare cautela durante la manipolazione e la preparazione delle sospensioni di 5-Azacitidina.
- Devono essere utilizzate procedure appropriate per la manipolazione e lo smaltimento dei medicinali antitumorali.
- In caso di contatto di 5-Azacitidina ricostituita con la pelle, lavare immediatamente e accuratamente con acqua e sapone. In caso di contatto con le mucose, sciacquare accuratamente con acqua.
PROCEDURA DI RICOSTITUZIONE
5-Azacitidina deve essere ricostituito con acqua per preparazioni iniettabili.
Il periodo di validità del medicinale ricostituito può essere prolungato se la ricostituzione avviene con acqua refrigerata per preparazioni iniettabili (2 °C-8 °C).
Preparare quanto segue: flaconcino(i) di 5-Azacitidina; flaconcino(i) di acqua per preparazioni iniettabili; guanti chirurgici non sterili; batuffoli con alcool; siringa(siringhe) da iniezione da 5 mL con ago(aghi).
Aspirare nella siringa 4 mL di acqua per preparazioni iniettabili, assicurandosi di eliminare eventuali bolle d’aria rimaste nella siringa.
Inserire l’ago della siringa contenente i 4 mL di acqua per preparazioni iniettabili nel tappo in gomma del flaconcino di 5-Azacitidina e successivamente iniettare l’acqua per preparazioni iniettabili nel flaconcino.
Dopo rimozione della siringa e dell’ago, agitare vigorosamente il flaconcino, fino alla formazione di una sospensione opaca uniforme. Dopo ricostituzione, ogni mL della sospensione conterrà 25 mg di 5-Azacitidina (100 mg/4 mL).
Il prodotto ricostituito è una sospensione omogenea, opaca, priva di agglomerati.
La sospensione deve essere eliminata se contiene particelle di grandi dimensioni o agglomerati.
Non filtrare la sospensione dopo ricostituzione in quanto ciò potrebbe rimuovere la sostanza attiva.
Bisogna tener conto che in alcuni adattatori, aghi e sistemi chiusi sono presenti dei filtri; pertanto tali sistemi non devono essere usati per la somministrazione del medicinale dopo ricostituzione.
Pulire il tappo in gomma e inserire una nuova siringa con ago già montato nel flaconcino.
Capovolgere il flaconcino, accertandosi che la punta dell’ago si trovi sotto il livello del liquido. Tirare quindi lo stantuffo per prelevare la quantità di medicinale necessaria per la dose corretta, assicurandosi di eliminare eventuali bolle d’aria rimaste nella siringa.
Successivamente, estrarre la siringa con l’ago dal flaconcino e smaltire l’ago.
Fissare saldamente sulla siringa piena della dose da somministrare un nuovo ago per uso sottocutaneo (si raccomanda l’utilizzo di aghi da 25 gauge).
La sospensione NON deve essere spinta nell’ago prima dell’iniezione, in modo da ridurre l’incidenza di reazioni locali in corrispondenza della sede di iniezione.
Se necessario (dose superiore a 100 mg), ripetere le fasi descritte per la preparazione della sospensione. Per dosi superiori a 100 mg (4 mL), dividere equamente la dose in 2 siringhe (ad es. dose da 150 mg = 6 mL, 2 siringhe con 3 mL ciascuna).
Il contenuto della siringa dosatrice deve essere risospeso immediatamente prima della somministrazione. Prima della somministrazione, si deve attendere fino a 30 minuti affinché la siringa riempita con la sospensione ricostituita raggiunga la temperatura di circa 20 ºC-25 ºC. Se il tempo trascorso supera i 30 minuti, la sospensione deve essere scartata e smaltita in modo appropriato e una nuova dose deve essere preparata.
Per risospendere al momento della somministrazione, far rotolare vigorosamente la siringa tra i palmi delle mani, fino a ottenere una sospensione opaca uniforme. La sospensione deve essere eliminata se contiene particelle di grandi dimensioni o agglomerati.
Se il farmaco è preparato dalla farmacia:
L’infermiere che riceve il farmaco verifica la completezza e la congruità dei dati scritti sull’etichetta, avendone la responsabilità della conservazione in reparto
Va garantito:
- Il Ritiro e trasporto sicuro da parte di personale formato e dedicato in appositi contenitori identificati
- L’ adeguata conservazione del farmaco fino all’atto della somministrazione
SOMMINISTRAZIONE:
L’inferiere deve effettuare l’esame ispettivo macroscopico del farmaco per evidenziare la presenza di eventuali alterazioni.
- Verifica la corrispondenza di identità dell’anagrafica della prescrizione l’etichetta
- Verifica l’identità tra il paziente, che deve ricevere la terapia, e il nominativo sull’etichetta; (domanda diretta e, se presente, braccialetto identificativo)
- Informa il paziente e verifica che abbia compreso la procedura
- Effettua il doppio controllo: congruità tra prescrizione del farmaco e farmaco pronto per la somministrazione
- Dopo aver verificato i dati sulla etichetta del farmaco pronto si procede con l’identificazione attiva del paziente
- Esegue l’igiene delle mani rispettando i tempi di contatto
- Utilizza correttamente i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale)
La soluzione ricostituita di 5-Azacitidina va iniettata per via sottocutanea (inserire l’ago con un angolo di 45-90°) nella parte superiore del braccio, nella coscia o nell’addome, utilizzando un ago da 25 gauge.
Le dosi superiori a 4 mL devono essere iniettate in due sedi differenti.
Alternare a rotazione le sedi di iniezione.
Le iniezioni successive devono essere somministrate a distanza di almeno 2,5 cm dalla sede precedente e mai in aree sensibili, livide, arrossate o indurite.
L’eliminazione dell’aria può aumentare l’incidenza di reazioni locali in sede di iniezione. Per ridurre al minimo l‘irritazione cutanea, assicurarsi che l’ago NON contenga farmaco e non espellere l’aria dall’ago prima di eseguire l’iniezione.
Dopo la somministrazione applicare pomata steroidea e coprire il sito
SMALTIMENTO
L’infermiere deve conoscere procedure e protocolli relativi allo smaltimento dei farmaci antiblasticidei farmaci antiblastici. Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa vigente.
6.7. Follow up
Il follow up dei pazienti con MDS in corso di terapia è peculiare per rischio prognostico e trattamento scelto. Nella sessione 6.6 vengono forniti anche elementi per il follow up all’interno dei singoli contesti terapeutici.
Il follow up post trapianto allogenico è di proprietà esclusiva del centro trapianti che ha eseguito la procedura, secondo i protocolli interni per la rilevazione delle complicanze e in particolare delle GVH acuta e cronica.
Sono candidati a terapia puramente palliativa i pazienti ad alto rischio o evoluti a leucemia acuta che non sono candidabili a trapianto di cellule staminali, chemioterapia AML-like, terapia ipometilante, altre terapie farmacologiche e terapie sperimentali. In questo caso si suggerisce la prosecuzione del supporto trasfusionale senza terapia ferrochelante fino al momento in cui si ha una fitness sufficiente e un contesto familiare tale da permettere al paziente di recarsi in ospedale per ricevere il supporto. In caso contrario si suggerisce valutazione di managment attraverso assistenza domiciliare (Hospice in caso di assenza di care-giver).
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8. Modalità di diffusione
Alle Direzioni aziendali da parte della DGW, con indicazione alla diffusione interna aziendale con destinatari: tutte le UO coinvolte nel percorso di cura (Dirigenza medica e Coordinatori infermieristici)
Ai professionisti sanitari che operano in ambito ematologico da parte della segreteria organizzativa della REL, attraverso la mailing list della REL
Pubblicazione sul sito della REL: http://www.rel-lombardia.net
9. Verifiche, revisioni, raccolta dati
Per la valutazione degli indicatori è necessario eseguire corretta compilazione dell’archivio di patologia (vedi paragrafo 6.3.5).
Si accede all’archivio all’URL: http://www.rel-lombardia.net/utenti/login
10. Contatti utili
Presidente commissione REL-MDS:
Matteo della Porta (Istituto clinico Humanitas)
Responsabile dell’archivio:
Alfredo Molteni (ASST Cremona)
alfredo.molteni@ASST-cremona.it
Responsabile progetto BioREL:
Lorenza Borin (Ospedale San Gerardo Monza)
